In questo articolo, Chris Englezou ci mostra alcuni biotopi indiani, molto diversi fra loro; in particolare vedremo alcuni corsi d’acqua nella catena montuosa dei Ghati e la zona circostante il lago Vembanad, il più grande lago dell’India.
Ringraziamo Chris Englezou per averci consentito di tradurre il suo articolo e, senza perdere ulteriore tempo, andiamo a scoprire questi luoghi di cui non si parla molto nell’acquariofilia generale.
Esplorando i biotopi acquatici nei Ghati Occidentali | Dai torrenti di montagna alle paludi di mangrovie
Siamo nel pieno della stagione secca, nei Ghati Occidentali. Sono qui, nel mezzo delle montagne dell’India meridionale, a 900 metri di altitudine, al confine fra due Stati, Tamil Nadu e Kerala, circondato da una fitta giungla.
La temperatura durante il giorno non è ancora rovente ma raggiunge in alcuni punti i 34 °C; le fronde mi tengono abbastanza all’ombra. Di notte la temperatura scende di oltre 20 °C e c’è rischio di subire shock termici.
Le zone attorno a me sono secche ma mi ricordano abbastanza i viaggi in Amazzonia, a esclusione dei giaguari, puma, anaconda e dei bushmaster [NdT: Lachesis spp.], qui sostituiti da tigri, pantere, pitoni e cobra. Ma nulla può replicare l’enorme maestosità del re della giungla, Elephas maximus indicus, l’elefante asiatico.
Mentre cammino lungo una traccia larga non più di mezzo metro, una polvere rossastra che impregna i rami degli alberi a livello degli occhi e alcuni mucchi di letame mi suggeriscono che le buche in cui ogni tanto inciampo sono le impronte degli elefanti: sto camminando dove sono passati i giganti.
Continuo a seguire la mia mappa che, se ho studiato correttamente, dovrebbe portarmi ad un piccolo corso d’acqua poco prima di alcune ripide cascate. Si tratta di un tributario del fiume Maruthapuzha, nel bacido nel fiume Chaliyar; voglio studiare la zona prima delle cascate.
La giungla è stranamente silenziosa, eccetto per alcuni cinguettii di alcuni uccelli. Sebbene possa essere un’esperienza molto rilassante, c’è sempre l’amara incertezza di non sapere mai cosa ci sia davanti (o dietro) di te.
L’idea è quella di procedere speditamente, controllando l’ambiente ed emettendo quel senso di sinonimia con la giungla da ogni cellula del tuo corpo. La giungla non comprende altre lingue se non quella del corpo e la paura quindi diventa o potenza positiva o fallimento.
Mentre mi faccio strada lungo una discesa franata e scivolosa, vedo lo scorrere poco profondo e indisturbato di questo rivolo che serpeggia attraverso la giungla. Man mano che lo seguo, le cascate diventano sempre più visibili.
Sotto l’ombra di un enorme Artocarpus [NdT: Albero del pane], il corso d’acqua si allarga e forma una specie di piscina piena di rocce, al cui centro c’è un grumo lungo e intrecciato di alghe filamentose.
Ci sono dei punti in cui l’acqua si muove molto più lentamente, in particolare nelle zone sotto agli alberi e ai cespugli della zona ripariale.
Con un denso letto di foglie, acqua ricca di ossigeno e numerose radici a formare rifugi, questo punto ha tutti i requisiti per ospitare pesci e un piccolo riflesso iridescente mi suggerisce che sono proprio nel posto giusto.
Mi fermo un momento per preparare il mio equipaggiamento e stringere i lacci delle scarpe: non c’è niente di peggio che perdere una scarpa in un metro di fango.
Procedo quindi lentamente nel corso d’acqua poco profondo e, non inaspettatamente, sprofondo fino al ginocchio nel limo e nelle foglie.
La mia posizione è comunque buona e, dopo il polverone innalzato all’inizio, la mia presenza inizia ad attrarre alcuni pesci iridescenti.
A prima vista sembrano essere qualche specie di Danio ma mi rendo subito conto che in realtà sono dei giovani Devario cf. malabaricus. Più in profondità e fra le rocce, con un retino catturo un meraviglioso esemplare adulto, che fotografo e rilascio immediatamente.
A fianco dei Devario vedo nuotare dei giovani barbi a strisce, che sospetto essere in particolare dei barbi melone (Haludaria fasciata); tuttavia i segni non sono molto corrispondenti a quelli che avevo visto in precedenza, oltre a mancare la striscia nera sul peduncolo caudale. H. fasciata è una specie piuttosto variabile, con numerose forme in base alla posizione, quindi suppongo di aver indovinato la specie.
Raccolgo un piccolo esemplare a strisce da un gruppo di circa cinquanta pesci, ma subito vedo un piccolo flash rosso con una punta di verde poco sotto una roccia. È un gruppo di 8-10 giovani maschi che nuota assieme in piena livrea riproduttiva.
Riesco a catturarne uno e a fotografarlo prima di lasciarlo ritornare ai suoi importantissimi affari.
Si tratta di una forma anomala, per questo posto, di H. fasciata, ma è davvero eccezionale. Purtroppo il colore rosso sbiadisce moltissimo togliendoli dall’acqua, quindi la foto non rende giustizia a questa meravigliosa creatura.
Continuo a osservare e dopo un po’, con gli ultimi movimenti del retino, riesco a trovare un predatore del luogo, un carinissimo Snakehead (Channa cf. striata) nascosto in mezzo alle foglie. Stranamente mi lascia il tempo di fargli qualche foto e quindi, non appena rilasciato, torna rapidamente nel suo substrato.
Raccolgo le mie cose e mi preparo per un viaggio verso sud di circa 200 km, per raggiungere il lago Vembanad, un ampio bacino d’acqua salmastra lungo quasi 100 km (è il più lungo lago dell’India), tra Azheekkode e Alappuzha.