Tutti noi abbiamo quasi sicuramente sentito parlare dei chelanti, e non necessariamente riguardo all’acquariofilia.
Ma in acquario a cosa servono, questi chelanti? Come possono aiutare la crescita delle piante d’acquario? Cosa significano le diciture elementi chelati o complessati, che molto spesso sono scritte sulle confezioni dei fertilizzanti?
Dopo aver visto quali siano i nutrienti necessari per le piante, questo articolo sarà utile come base per altri articoli – che usciranno più avanti – riguardanti i vari nutrienti per le piante d’acquario.
L’articolo si concentrerà soprattutto sul ruolo dei chelanti nella fertilizzazione, ma accenneremo brevemente anche al problema dei metalli pesanti e al DOC.
Iniziamo subito!
Perché i chelanti?
Fra i vari nutrienti richiesti dalle piante, alcuni sono elementi metallici come, ad esempio, il ferro, il manganese, il rame e lo zinco.
Il nostro obiettivo, come fertilizzatori, è quello di far arrivare questi nutrienti alle piante, evitando che vadano a combinarsi con altri elementi e mantenendoli in forme facilmente assimilabili.
I sali degli elementi nutritivi
Normalmente, infatti, quando usati come concimi, questi elementi sono in forma di cosiddetti sali, non sono cioè puri ma sono formati da più ioni.
Gli ioni possono essere carichi o positivamente o negativamente e vengono detti, rispettivamente, cationi e anioni.
Un esempio di sale è… il sale da cucina – il cloruro di sodio NaCl – composto dagli ioni sodio (Na+) e cloro (Cl–).
Fra i concimi, un sale molto comune del rame è il solfato di rame (CuSO4), la famosa polvere azzurrina che si usa, diluita in acqua, come anticrittogamico per la vite e altre piante.
Se inserissimo questi metalli con i loro sali, i sali si dissocierebbero in acqua, separandosi negli ioni che li compongono.
Per esempio, il sale da cucina, in acqua, si separa così…
NaCl → Na+ + Cl–
… mentre il solfato di rame si dissocia nel seguente modo:
CuSO4 → Cu2+ + SO42-
Come si può vedere, l’elemento nutritivo (il rame, Cu) è uno ione, in questo caso un catione, carico positivamente.
Questo accade non solo con il rame ma anche con altri elementi nutritivi, come il ferro (Fe2+ o Fe3+), il manganese (Mn2+), lo zinco (Zn2+) etc.
Che problemi danno gli ioni?
Vediamo ora i problemi più comuni che incontrano gli ioni nel loro percorso dal flacone di fertilizzante alla pianta.
Gli ioni fanno fatica ad “entrare” nelle radici
Gli elementi nutritivi entrano nelle piante attraverso i cosiddetti pori, specie di “porte” che consentono l’ingresso degli elementi nutritivi nei tessuti della pianta.
I pori sono però carichi negativamente: non appena uno ione positivo, come quello di molti nutrienti, si avvicina al poro, viene attratto dal poro stesso, come una calamita attrae il ferro.
L’elemento nutritivo rimane quindi “incollato” al poro senza poterci entrare con facilità.
Un po’ come trovarsi spalmato di colla lo zerbino di casa.
Gli ioni si combinano con altri ioni
Sempre per lo stesso motivo, questi elementi nutritivi, generalmente ioni positivi, possono combinarsi con altri ioni negativi, normalmente presenti in acqua, come l’anione fosfato (PO43-) o l’anione bicarbonato (idrogenocarbonato, HCO3–), formando dei composti difficilmente utilizzabili dalle piante. Questo fenomeno è spesso detto precipitazione.
Ad esempio, gli ioni di ferro (Fe3+) possono combinarsi con gli ioni fosfato per formare un composto detto fosfato ferrico (FePO4) oppure combinarsi con ioni idrossile per formare idrossido di ferro (FeOH3).
Il fosfato ferrico e l’idrossido di ferro sono insolubili, dunque non si separano più nelle loro due componenti e sono quindi pressoché inutilizzabili da parte delle piante: abbiamo perso nutrienti fondamentali!
Per curiosità, le resine anti-fosfati funzionano generalmente proprio così, facendo combinare ferro e fosfati in composti insolubili e, dunque, praticamente inutilizzabili.
La tossicità dei metalli pesanti
Questo aspetto non è correlato particolarmente con la fertilizzazione tuttavia, già che ci siamo, direi di parlarne brevemente.
I cosiddetti metalli pesanti sono elementi che possono essere nutrienti essenziali in tracce per gli organismi (come il ferro, lo zinco, il rame…) oppure elementi inquinanti, come il piombo, l’arsenico, il mercurio etc.
Poiché in natura questi elementi sono diffusi, gli organismi nel corso dell’evoluzione hanno sviluppato meccanismi di difesa da questi elementi tossici, che spesso consistono nel legare l’elemento tossico in maniera che possa essere spostato all’interno dell’organismo e non possa combinarsi dove non dovrebbe.
Infatti uno dei principali meccanismi di tossicità dei metalli pesanti è quello di sostituirsi all’atomo necessario per l’attività di un enzima, proteina o altra struttura, impedendone il corretto funzionamento.
Come vedremo, i chelanti possono aiutare da questo punto di vista.
I chelanti (in natura)
Le piante (e non solo: anche batteri, funghi, …) da millenni riescono comunque a nutrirsi e a prosperare, nonostante tutti i problemi che incontrano gli oligoelementi per venire assorbiti.
Infatti, esistono svariati meccanismi naturali che hanno consentito e consentono alle piante di assorbire questi elementi senza troppe difficoltà, al massimo richiedendo alle piante energia aggiuntiva.
Tra questi fattori, possiamo elencare: la capacità di scambio del terreno, meccanismi in grado di rendere il ferro solubile (come l’acidificazione, da parte della pianta, della zona attorno alle radici) o la produzione di sostanze in grado di gestire questi oligoelementi.
Queste sostanze, di natura estremamente varia, hanno la capacità di circondare gli ioni metallici e renderli elettricamente neutri e sono spesso dette chelanti o sequestranti. L’uomo, con il progresso delle Scienze e della Tecnica, è stato poi in grado di produrre chelanti artificiali, ispirandosi a quelli naturali.
Uno ione legato e reso elettricamente neutro ha, infatti, i seguenti vantaggi:
- non si incolla alle radici e riesce ad entrare più facilmente;
- non precipita con altri altri ioni;
- è meno tossico (ioni liberi di rame o zinco, ad esempio, possono essere tossici già a concentrazioni piuttosto basse; uno ione legato è almeno 50-100 volte meno tossico).
Cosa sono i chelanti?
Finalmente, dopo aver capito a cosa possano servire, possiamo iniziare a parlare di questi chelanti!
Iniziamo subito con il nome, chelante, che richiama la parola chela. I chelanti, infatti, sono sostanze che circondano e “afferrano” l’elemento da chelare proprio come farebbe una chela di un granchio con un qualcosa. Tale nome è stato usato per la prima volta negli anni Venti del Novecento.
Un’immagine potrà risultare utile giusto per avere un’idea visiva della cosa:
Il chelante è quindi una sorta di “anello” che isola l’elemento da chelare, facendogli perdere le caratteristiche ioniche – il complesso chelante-chelato è, infatti, neutro.
Se si tratta di un elemento nutritivo per le piante, queste ultime sono in grado di prelevare l’elemento chelato dal chelante, aprendolo. Dopo il prelievo, l’elemento nutritivo verrà spostato internamente dalla pianta, mentre il chelante rimarrà vuoto e libero di vagare nell’acqua.
Appena ne avrà la possibilità, il chelante formerà un nuovo composto con un altro ione libero (non chelato), se lo trova.
Tipi di chelanti
Di chelanti ne esistono un’infinità e, nel mondo naturale, molti devono ancora essere studiati e analizzati.
A livello di sintesi artificiale, contemporaneamente, sono in corso ricerche per trovarne di più efficaci, economici, eco-compatibili e biodegradabili.
Chelanti naturali
Ecco un breve elenco di chelanti naturali che possiamo trovare:
- amminoacidi, zuccheri e altri composti organici
- ad esempio quelli nel cosiddetto “carbonio organico dissolto” (DOC);
- acidi
- acidi umici e fulvici;
- ligninsolfonati
- solitamente sottoprodotti dalla lavorazione del legno, sono usati in particolare per chelare lo zinco (anche se possono chelare anche altri elementi) e per la pellettizzazione dei mangimi;
- glucoeptonati e gluconati
- composti derivanti dal glucosio, molto presenti, ad esempio, nei frutti;
- ammonio
- utilizzato in alcuni fertilizzanti per chelare rame e zinco, ad esempio;
- siderofori
- sostanze usate da batteri e funghi per poter assorbire il ferro; alcuni batteri patogeni lo usano per sottrarre il ferro legato all’emoglobina. Basti pensare che il chelante per il ferro secreto da batteri quali l’Escherichia coli o dal batterio della Salmonella, l’enterobactina, è in grado di chelare persino ioni di ferro presenti nell’aria;
- fitosiderofori
- sostanze usate dalle piante per chelare i metalli; fra i fitosiderofori più conosciuti ci sono acidi quali il citrico, l’acetico o il pirocatecolo.
Chelanti artificiali
Capostipite dei chelanti artificiali è quasi certamente l’EDTA (acido etilendiamminotetraacetico – nel seguito ometteremo questi nomi estesi), sintetizzato per la prima volta nel 1935 da Ferdinand Münz come sostituto dell’acido citrico.
Dagli anni Cinquanta, l’EDTA è stato usato in maniera quasi ubiquitaria, non solo come chelante per concimi, ma anche per trattamento delle acque, rimedio contro l’intossicazione da metalli pesanti, nell’industria cosmetica, dei detergenti o alimentare.
Successivamente sono stati creati altri chelanti di sintesi, come:
- HEDTA o HEEDTA
- DTPA o acido pentetico
- EDDHA o EHPG
- EDDHMA
- EDDCHA
- HBED
- NTA
- EDG
- GLDA
- Glucoeptonati
… ognuno con le sue caratteristiche e campi d’impiego ottimali.
Vediamo ora quali siano i chelanti, naturali o di sintesi, di interesse per l’acquariofilo.
Chelanti in acquario più usati
I chelanti comunemente usati in acquariofilia sono i seguenti.
La lista purtroppo non è esaustiva, visto che la ricerca sui chelanti è un campo ad oggi ancora aperto.
Gluconati
I gluconati, derivati dell’acido gluconico, sono complessi facilmente biodegradabili, utili a pH elevati per ferro ferrico (Fe3+) e rame. Oltre al Fe3+ e al rame, possono formare un complesso anche con il ferro ferroso (Fe2+), il calcio e l’alluminio.
In acquariofilia è usato particolarmente il ferro gluconato, con Fe2+.
Usano gluconati, ad esempio, i protocolli Aqua Rebell (Mikro Spezial Flowgrow), Brightwell Aquatics, Seachem (Flourish, Flourish Iron…), SHG, Vimi etc
Citrati
I citrati sono derivati dell’acido citrico, un chelante naturale e biodegradabile.
Formano chelati stabili in ambiente acido e sono usati in particolare per applicazioni fogliari.
In acquariofilia è spesso aggiunto acido citrico ai fertilizzanti, sia come conservante, sia come vero e proprio chelante.
Usano citrati, ad esempio, Aqua Rebell, Drak (Kramerdrak, Ferrdrakon), Vimi etc, spesso assieme ad altri chelanti più forti.
EDTA
L’EDTA è un chelante di sintesi, relativamente forte, in grado di chelare elementi su un ampio range di pH, specialmente a pH basici.
Unica eccezione è con il ferro (Fe3+), che può essere chelato dall’EDTA solo a pH acidi.
È facilmente danneggiato dalla luce UV-blu, più energetica, e non è molto facilmente degradabile.
In acquariofilia è usato praticamente in tutti i protocolli, per chelare gli oligoelementi e parte del ferro. Ci sono rare eccezioni, come il protocollo Seachem (che usa gluconati e sali) o la linea non chelata Aqua Rebell.
HEDTA o HEEDTA
L’HEDTA (o HEEDTA) è un chelante di sintesi ed è molto simile all’EDTA, da cui si differenzia per una maggiore stabilità della chelazione del ferro a pH leggermente basici. Molto utilizzato anche per lo zinco.
Usano l’HEDTA, ad esempio, i protocolli Drak (Kramerdrak, Ferrdrakon), Dennerle (Scaper’s Green) o Tropica.
DTPA o acido pentetico
Il DTPA è un chelante di sintesi, piuttosto resistente e con un più ampio range di efficacia del pH, rispetto all’EDTA. Si lega all’elemento da chelare con 5 collegamenti, da cui il nome.
È più fotoresistente dell’EDTA, dunque resiste per più tempo sotto la luce (in particolare lunghezze d’onda del blu e inferiori). È pertanto generalmente più consigliabile dell’EDTA nel caso di illuminazione a LED, che spesso presenta grosse emissioni nella parte blu/viola dello spettro, ovvero la luce visibile con maggiore energia.
In acquario, richiede comunque buone potenze luminose per essere utilizzabile al meglio.
In acquariofilia, usano il DTPA, ad esempio, i protocolli Aqua Rebell, Dennerle, Drak, Easy Life (Profito, Ferro), TNC (Ferro), Tropica e diversi altri.
NTA
L’NTA è un chelante artificiale, spesso sottoprodotto della sintesi dell’EDTA.
È un chelante relativamente debole, se confrontato con EDTA o DTPA. Si lega con l’elemento attraverso 3 collegamenti.
In acquariofilia, usano NTA, ad esempio: Easy Life (Profito) o Drak (Kramerdrak, Ferrdrakon…).
EDDHA
L’EDDHA è un chelante di sintesi ed è considerato molto pregiato in agricoltura per la sua capacità di mantenere chelato il ferro in terreni calcarei e dal pH molto elevato, dove gli altri chelanti comuni (EDTA, DTPA) non riescono a reggere.
Si lega all’elemento da chelare con sei legami.
In Europa è obbligatorio specificare nei concimi le due forme in cui può presentarsi l’EDDHA, ovvero le forme [o,o] e [o,p], rispettivamente “orto-orto” e “orto-para“, dove la forma più apprezzata è la [o,o], grazie alla sua maggiore resistenza. La parte [o,p] ha, invece, una resistenza prossima a quella del DTPA (questo aspetto verrà approfondito in seguito).
L’EDDHA (e tutti i chelanti che iniziano con EDD-, come l’EDDHMA o l’EDDCHA) hanno la tendenza a colorare l’acqua di colore rosso-marrone, già con somministrazioni relativamente basse di ferro (circa 0.1 mg/l).
Inoltre, specialmente utilizzando EDDHA completamente [o,o], pregiato per l’agricoltura, si possono avere problemi di assorbimento, essendo il chelante piuttosto forte.
Per questi motivi, gli EDD- sono raramente usati in acquariofilia e, quando usati, lo sono in piccolissima proporzione (come nell’Equo Florido o nel vecchio Elos Fase 1).
Alcuni studi sembrano evidenziare, inoltre, che un abbondante uso di Fe-EDDHA possa portare a problemi con l’assorbimento del manganese.
DOC
Il DOC (Dissolved Organic Carbon – Carbonio Organico Dissolto) consiste in un insieme di sostanze disciolte in acqua, fra cui: amminoacidi, acidi organici (come l’acido citrico), proteine, sostanze umiche etc.
Il DOC deriva dalla decomposizione della materia organica (escrementi, foglie morte, eventuali materiali organici presenti nel fondo…) e, in acquario, si può vederne l’accumulo nel leggero ingiallimento dell’acqua.
Non si tratta quindi di chelanti intenzionalmente aggiunti (anche se esistono modi per aggiungerli, come legni, foglie, torba, estratti vari di corteccia/foglie), ma di sostanze naturalmente presenti – in natura si possono avere svariati mg/l di DOC in soluzione.
Il DOC ha la capacità di legare i metalli pesanti, diminuendone la tossicità.
Ecco perché solitamente foglie in infusione, estratti e quant’altro hanno effetti benefici sui pesci, oltre ad abbassare il pH, rilasciare altre sostanze utili o fare da rifugio per microfauna.
Il DOC, legando i metalli, oltre a limitarne la tossicità, può riportarli in soluzione e renderli maggiormente disponibili per le piante, proprio come gli altri chelanti che abbiamo visto.
Il DOC è normalmente rimosso dai cambi d’acqua e con l’utilizzo di carboni attivi e, come si può intuire, non è presente negli acquari appena avviati o riallestiti.
Pertanto si può contare su una buona presenza di DOC solo in acquari ben stabili, dove non sono stati fatti di recente trattamenti con carboni attivi o cambi d’acqua cospicui.
Caratteristiche dei chelanti
I chelanti che abbiamo visto non sono tutti equivalenti. Si differenziano, infatti, principalmente per due fattori:
- la forza con cui si legano agli ioni metallici da chelare
- il pH a cui riescono a chelare efficacemente gli ioni
Entriamo un po’ nel dettaglio, sempre rimamendo limitati all’ambito acquariofilo.
La forza dei chelanti (log K)
Ogni chelante ha una forza specifica e misurabile, con cui lega sé stesso ad un dato elemento da chelare. Questa forza è misurata da una costante, detta costante di stabilità, spesso indicata come valore log K.
La costante di stabilità, inoltre, in qualche modo descrive la probabilità che si formi un composto. Ad esempio, è più probabile che il DTPA cheli il ferro (log K = 28) piuttosto che il magnesio (log K = 9.3).
Vediamo alcuni valori di queste costanti di stabilità.
M = concentrazione ione metallico, L = concentrazione ligando.
Ca = calcio, Cu = rame, Fe = ferro, Mg = magnesio, Mn = manganese, Zn = zinco
Possiamo quindi avere una quantificazione numerica di quanto avevamo detto in precedenza. Ad esempio, avevamo visto che l’NTA era più debole dell’EDTA e infatti tutte le costanti di stabilità dell’NTA sono inferiori a quelle dell’EDTA.
Nota: la scala è logaritmica, dunque +1 equivale a 10 volte tanto, +2 a 100 volte tanto, -3 a un millesimo etc.
Per i più matematici, l’operazione per calcolare la differenza in forza di due chelanti è l’antilogaritmo: 10^(logK1 – logK2), con logK1 e logK2 pari alle due costanti di stabilità da confrontare.
Il chelante più forte che c’è! O no?
In prima battuta si potrebbe dire che tanto più forte è un chelante, tanto migliore sia la sua qualità. Questo non è sbagliato: in effetti, in certe condizioni, un chelante forte è assolutamente desiderabile.
Tuttavia bisogna tener conto anche del fatto che le piante debbano poter aprire il chelante per prelevarne l’elemento chelato e più il chelante è resistente, più fatica fa la pianta.
È quindi opportuno trovare una soluzione di compromesso per la forza del chelante, che deve essere sufficiente per farlo funzionare nelle condizioni d’uso ma non deve essere eccessiva, per consentire alle piante un prelievo poco dispendioso del chelato.
Il pH a cui resistono i chelanti
Il pH è un fattore che può influenzare enormemente la funzionalità dei chelanti, tanto che, in agricoltura, un criterio per scegliere il chelante da utilizzare è proprio quello del pH della soluzione o del terreno in cui verrà applicato.
Da notare che, purtroppo, ci sono vari criteri per determinare il pH di stabilità dei chelati, ragion per cui spesso accade di leggere sulle confezioni di concimi che sono stabili in intervalli di pH differenti. Infatti, alcune etichette indicano il chelato stabile ad un dato pH se il 95% rimane stabile, altre una percentuale più bassa.
Per esempio, è possibile leggere che il ferro EDTA può essere stabile fino a pH 6, 6.5 o anche 7 e oltre: dipende dal criterio adottato per definirlo “stabile”.
Per quanto riguarda gli oligoelementi quali rame, manganese e zinco, la maggior parte dei chelanti artificiali (EDTA, DTPA, NTA) regge in un intervallo del pH compreso, mediamente, tra 4 e 12, pertanto ben entro i normali pH presenti negli acquari.
Per quanto riguarda il calcio e il magnesio, invece, mediamente vengono chelati con buona efficacia fra pH 6 e 12 e fra pH 6.5 e 10 rispettivamente.
pH e ferro chelato
Discorso a parte merita il ferro, che ha un comportamento un po’ più complesso negli intervalli di pH comunemente presenti in acquario.
Infatti, con il ferro, all’aumentare del pH, i principali chelanti tendono a rilasciare il ferro e a sostituirlo con il calcio (Ca2+), ottenendo chelato di calcio e lasciando libero il ferro, che può precipitare, solitamente sotto forma di ossido di ferro o fosfato ferrico.
Nel dettaglio:
- il ferro-NTA resiste bene fino a pH 4 e raramente viene dunque usato per chelare il ferro;
- il ferro-EDTA resiste bene fino a pH 6.3-6.5, a partire da pH 6.8 EDTA inizia a lasciare il ferro per chelare il calcio, già a pH 7 meno del 50% del ferro è ancora chelato;
- il ferro-HEDTA resiste bene fino a pH 7, a pH 7.8 il 50% circa di ferro è ancora chelato;
- il ferro-DTPA resiste fino a pH 7.5, con il 50% circa di ferro ancora chelato a pH 8;
- il ferro- EDDHA resiste bene fino a pH 9, con il 50% circa di ferro ancora chelato a pH 10.
Si può osservare, quindi, che nei pH normalmente presenti in acquari alcuni chelanti possono avere problemi con il ferro.
Quali chelanti scegliere?
Dopo aver visto parecchie caratteristiche dei vari chelanti, siamo pronti per vedere quali scegliere in acquario.
Per quanto riguarda la fertilizzazione, ci sono due vie principali:
- fertilizzazione chelata debolmente
- fertilizzazione chelata fortemente
Fertilizzazione chelata debolmente
Questo approccio prevede di usare elementi o non chelati o debolmente chelati (spesso è usata la dicitura “elementi complessati”).
Ne sono un esempio i protocolli che utilizzano sali inorganici per gli oligoelementi (solfato di rame, solfato di zinco etc) e ferro debolmente complessato, come il gluconato ferroso. Possono utilizzare anche citrati, sorbati e simili come conservanti e deboli chelanti a loro volta.
Vantaggi e svantaggi
I vantaggi di questo tipo di fertilizzazione sono:
- elementi rapidamente e facilmente assimilabili da parte delle piante, che devono spendere minima energia per assorbirli;
- ferro in stato ridotto/bivalente, quindi anche questo facilmente assorbibile; il ferro gluconato, infatti, è Fe2+, mentre gli altri chelati sono Fe3+ – pur essendo capaci di assorbirli entrambi, le piante assorbono più facilmente il primo dei due;
- nessun accumulo di chelanti.
Gli svantaggi, invece, sono:
- rapida precipitazione degli elementi, per cui è necessario procedere ad una fertilizzazione molto frequente, solitamente giornaliera;
- necessità di usare maggiori quantità di fertilizzanti, poiché una parte non indifferente di quanto inserito precipita e diventa non utilizzabile o difficilmente utilizzabile (basti pensare all’accoppiata ferro-fosforo);
- maggiore tossicità degli elementi nutrienti, soprattutto rame e zinco, non essendo chelati, per cui bisogna stare estremamente attenti con i (sovra)dosaggi e con gli accumuli di elementi precipitati nel fondo.
Giusto per fare qualche esempio, usano questo approccio di fertilizzazione Seachem, Aqua Rebell (con la serie non chelata, Mikro Spezial Flowgrow + Eisen) e altre aziende, che usano un mix di elementi chelati e non (come Brightwell che usa ferro EDTA e ferro gluconato o Vimi, che usa ferro gluconato, EDTA e DTPA).
Fertilizzazione chelata fortemente
Questo approccio prevede di usare elementi chelati con chelanti solitamente di sintesi e piuttosto robusti.
Ne sono un esempio sia i protocolli di base generici, anche per acquari poco esigenti (penso ai diffusissimi prodotti Amtra, Aquili, JBL, Sera, Tetra…) sia i protocolli esplicitamente per acquari più esigenti (Dennerle, Drak, Easy-Life, Elos, Equo, JBL ProScape, Tropica, Vimi…)
Solitamente questi prodotti contengono oligoelementi chelati con EDTA, stabili nei normali pH di un acquario.
Per il ferro, invece, molti produttori sostituiscono una parte di ferro EDTA con chelati di ferro resistenti a pH più alti, quali HEDTA, DTPA e, raramente, una piccola percentuale di EDDHA.
Questi chelanti più forti sono anche benefici in vasche fortemente illuminate, specialmente con LED, poiché l’EDTA è piuttosto sensibile alla luce blu-viola, molto presente nei LED.
Infine, sono noti alcuni casi in cui vengono chelati anche elementi normalmente non chelati, come potassio e magnesio: ne sono un esempio i prodotti Drak (che usano Mg-EDTA) o l’usatissimo – all’estero – Plantex CSM+B (sempre Mg-EDTA).
Vantaggi e svantaggi
I vantaggi di questo approccio sono:
- gli elementi precipitano con maggiore difficoltà, poiché i chelanti sono più resistenti;
- sono necessarie minori quantità di concimi, poiché c’è meno precipitazione; ad esempio, ferro chelato e fosfati non si combinano e rimangono entrambi disponibili;
- gli elementi chelati sono anche 100-1000 volte meno tossici della controparte non chelata, sono quindi più sicuri da usare e pongono meno rischi in caso di sovradosaggio (comunque da evitare, il fatto che gli elementi siano chelati non giustifica un sovradosaggio!).
Gli svantaggi sono, invece:
- maggiore richiesta di energia da parte delle piante per assorbire il nutriente chelato, in particolare il ferro, che nei chelanti comuni, quali EDTA e DTPA, è in stato ossidato (Fe3+);
- accumulo di chelanti (la pianta preleva l’elemento chelato, dopodiché il chelante rimane in giro in acqua, andando a chelare qualche altro elemento), per cui possono essere necessari cambi d’acqua per eliminare questi accumuli.
Fertilizzazione debolmente o fortemente chelata? Quale delle due?
Come si può vedere, vantaggi e svantaggi sono pressoché duali e speculari per le due soluzioni: si tratta pertanto di soluzioni entrambe lecite e percorribili.
Probabilmente la soluzione con gli elementi debolmente stabilizzati è quella che richiede maggiori attenzioni da parte dell’acquariofilo, sia per quanto riguarda i dosaggi, sia per quanto riguarda la frequenza di somministrazione. È infatti necessario somministrare gli oligoelementi giornalmente (o quasi) e un loro sovradosaggio o accumulo può porre rischi anche gravi alla fauna e alla flora. Tuttavia con le piante si possono ottenere risultati eccezionali.
Viceversa, i fertilizzanti chelati più fortemente, a scapito di un leggero svantaggio per le piante, sono intrinsecamente più sicuri da usare e possono essere somministrati con intervalli di tempo più lunghi (anche settimanali e più, dipende dalle esigenze).
Ciò può essere gradito, specialmente ai neofiti che devono ancora imparare a comprendere appieno come funzioni la fertilizzazione.
Chelanti e biocondizionatore (Appendice)
Senza entrare nel merito dell’opportunità o della necessità di usare biocondizionatori per l’acqua dei cambi, è da segnalare che spesso questi prodotti contengono al loro interno chelanti, con la funzione di chelare gli elementi presenti nell’acqua e ridurne, eventualmente, la pericolosità.
Solitamente, i biocondizionatori usano EDTA come chelante, alcuni altri invece dichiarano di usare DTPA e HEDTA, altri ancora DOC. Purtroppo però la maggior parte dei produttori nulla dichiara a tal riguardo, non permettendo una valutazione migliore della cosa.
Quel che è importante, però, è evitare di usare biocondizionatori e contemporaneamente protocolli di fertilizzazione non chelati, in quanto potrebbero esserci interazioni sgradite.
Non a caso, la principale azienda di acquaristica che non usa chelanti forti – Seachem – usa un biocondizionatore che non contiene chelanti e che non reclama alcuna azione di “neutralizzazione dei metalli pesanti”.
Viceversa, usando un protocollo chelato, le interazioni fra chelanti del biocondizionatore ed elementi nutritivi dovrebbero essere minori, se non nulle, non potendo un elemento essere chelato da più di un chelante alla volta.
Cosa abbiamo imparato?
Se siete giunti alla fine di questo mattone dovreste avere un buon numero di strumenti per comprendere il ruolo dei chelanti in acquario.
I chelanti, sia quelli naturali, sia quelli artificiali, rivestono un ruolo molto importante per far sì che le piante possano assorbire molti fra gli elementi nutritivi a loro essenziali.
Inoltre, i chelanti rendono meno dannosi eventuali elementi tossici, come i metalli pesanti, proteggendo i pesci, le piante e gli altri organismi che ospitiamo nei nostri acquari.
Esiste una grande varietà di chelanti, ognuno dei quali ha peculiari caratteristiche: abbiamo visto quelli più comunemente utilizzati in acquario e abbiamo sottolineato, in particolare, i problemi che si possono verificare con il ferro.
Nel caso in cui sia necessario procedere ad una fertilizzazione per le piante presenti – la fertilizzazione non è sempre necessaria – possiamo seguire due approcci principali, ovvero quello di una fertilizzazione chelata debolmente (o complessata) oppure quello di una fertilizzazione chelata fortemente.
Entrambi hanno vantaggi e svantaggi tuttavia, come abbiamo visto, portano a risultati equivalenti.
Buona fertilizzazione – e venite a raccontarci come stanno le vostre piante d’acquario nel forum. Saremo felici di parlarne!
Bibliografia, Crediti e Ringraziamenti
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Schema chelante EDTA: By Smokefoot, derivative work: Chamberlain2007 (talk) – Medta.png, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10101426
Uomo con barattolo: CC0 (Public Domain)
Immagine di copertina: CC0 (Public Domain)
Desidero, infine, ringraziare Gery Ciaccio per la revisione sul piano scientifico del materiale e Matteo e Francesco per i consigli sulla stesura del testo, per renderlo più digeribile (anche se è rimasto un mattone, ma questa è colpa mia 😀 ).