Riccardo Trevisanato, Autore presso Acquario.top La Scienza in Acquario. Wed, 10 Jun 2020 07:52:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.2 Betta channoides https://acquario.top/betta-channoides/ https://acquario.top/betta-channoides/#respond Sun, 07 Jun 2020 19:25:09 +0000 https://acquario.top/?p=4519 Betta channoides (Kottelat & P. K. L. Ng, 1994) è una piccola specie di pesce che vive nelle acque stagnanti del Borneo, in una piccola area del Kalimantan Orientale, Indonesia. Il nome channoides significa “dalla forma simile a Channa“. Effettivamente ci assomigliano, solo in versione tascabile. Ora, sono sicuro che morite dalla voglia di sapere qualcosa in […]

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Betta channoides (Kottelat & P. K. L. Ng, 1994) è una piccola specie di pesce che vive nelle acque stagnanti del Borneo, in una piccola area del Kalimantan Orientale, Indonesia.

Kalimantan orientale
La provincia del Kalimantan Orientale è una delle più estese dell’Indonesia.

Il nome channoides significa “dalla forma simile a Channa“. Effettivamente ci assomigliano, solo in versione tascabile.

Ora, sono sicuro che morite dalla voglia di sapere qualcosa in più a proposito di questo simpatico pinnuto (altrimenti che state leggendo a fare?), tipo comportamenti, dimorfismo sessuale, condizioni di allevamento, ma prima un po’ di…

Tassonomia

… in una comoda tabella offerta gentilmente dalla fonte del sapere universale (Wikipedia per gli amici):

Snakehead betta
Regno: Animalia
Phylum: Chordata
Classe: Actinopterygii
Ordine: Anabantiformes
Famiglia: Osphronemidae
Genere: Betta
Specie:
B. channoides

 

L’ordine degli Anabantiformi (che comprende Nandoidei, Channoidei a Anabantoidei) è composto da un gruppo di pesci accomunati da un organo respiratorio, il labirinto, che permette loro di respirare anche aria atmosferica, in aggiunta all’ossigeno disciolto in acqua.

Ciò ha permesso loro di colonizzare stagni e corsi d’acqua con bassissima concentrazione di ossigeno disciolto. A questo proposito devo dire che in due anni e oltre di allevamento di questa specie non ho mai visto un esemplare salire in superficie per prendere “una boccata d’aria”; sottolineo però che utilizzo filtri ad aria che forniscono normalmente una più che buona ossigenazione in vasche piccole (per chi non ha dimestichezza con il suddetto filtro, in pratica, si ha sempre un ossigenatore attivo in vasca).

Ora che noi tutti conosciamo la tassonomia riguardante questo piccolo pesce, passiamo a qualcosa di più interessante. Per esempio qui un maschio mentre rutta.

Betta channoides maschio

Morfologia di Betta channoides

Le specie Betta channoides e Betta albimarginata costituiscono insieme il sottogruppo albimarginata, un insieme di specie strettamente correlate all’interno del genere, diverse da tutti gli altri membri nel disegno della livrea e dal possesso di 9-12 spine nella pinna anale vs. 0-4.

Betta channoidesFortunatamente, non è necessario contare i raggi delle pinne per riconoscere questo pesce: come detto,  si tratta di una specie piccola, circa 5 cm di lunghezza massima da adulto, con uno spiccato dimorfismo sessuale. I maschi si presentano di uno sgargiante colore rosso, mentre le femmine, normalmente in mimetica grigio-marrone, in riproduzione mostrano una attraente livrea bandeggiata. Le pinne si mostrano bardate di nero e bianco e la forma della testa è leggermente schiacciata, distinguendosi dalla forma classica dei Betta e ricordando (guarda un po’) le Channa.

Distinguere B. channoides da B. albimarginata

Se il gruppo albimarginata è decisamente caratteristico, distinguere B. channoides e B. albimarginata è molto più complicato, e si basa principalmente su lievi differenze nel pinnaggio (a meno di un test del DNA sottomano).

Betta channoides
Mi scuso per il riflesso nella foto ma è forse l’immagine in mio possesso che meglio mette in mostra le pinne.

La colorazione delle pinne in B. albimarginata, ad eccezione delle pinne pettorali, è costituita da una larga fascia distale bianca, ampia banda sottomarginale scura, con margine esterno acuto e margine interno meno acuto, e una porzione interna rossa chiara, mentre in B. channoides la pinna dorsale è quasi interamente rossa con solo una sottile fascia bianca distale e la fascia sottomarginale nera,  che nella pinna caudale non arriva alla parte più alta della pinna.

La colorazione di base del corpo differisce tra le due specie, tendendo verso un rosso mattone leggermente spento in B. albimarginata maschio, mentre è di un brillante rosso scarlatto in B. channoides. In generale la livrea di B. albimarginata si presenta, nei maschi più spenta. Questa caratteristica è però influenzata pesantemente da altri fattori (primo tra tutti lo stato di stress dell’animale), rendendo possibile l’identificazione certa solo ad occhi esperti e dopo un adeguato periodo di acclimatazione (non sperate di distinguerli in negozio).

In altre parole: buona fortuna!

Distribuzione e habitat di Betta channoides

Purtroppo non ho molto da aggiungere rispetto a quel che ho scritto in apertura di articolo. Si tratta di una specie con un areale di distribuzione piuttosto ristretto: si ritrova solo nell’isola del Borneo (Indonesia), nella regione del Kalimantan Orientale (o Kalimantan Timur).

Il classico habitat di questo pesce sono stagni e corsi d’acqua a scorrimento lento, caratterizzati pochissima profondità, acqua molto acida e durezze inesistenti, con grandi quantità di tannini disciolti (che conferiscono un colore scuro, marrone) dovuti alla gran quantità di materiale vegetale immerso. In pratica vivono nascosti in distese di foglie secche cadute, allagate da decina di centimetri scarsi d’acqua.

Valori in natura

La conducibilità si attesta su valori inferiori a 200 µS/cm (nella stagione delle piogge arriva a meno di 40 µS/cm), mentre il pH non sale sopra a 6.5 mentre può raggiungere valori decisamente minori, attorno a 4.
La temperatura dell’acqua è abbastanza alta: difficilmente scende sotto i 22/23 °C ma può arrivare a più di 30 °C, senza grandi fluttuazioni stagionali o giornaliere.

Un habitat minacciato

Inserisco in questa sezione una particolare notizia di fondamentale importanza. Si tratta di una specie minacciata ed è perciò classificata come “endangered” dalla IUCN Red List. L’areale di distribuzione è limitato, ristretto a tre sole località, si sta restringendo ulteriormente e la popolazione è in calo. Quindi, lasciando da parte gli scherzi per un attimo, pongo l’attenzione su un fatto di vitale importanza: è una specie a rischio di estinzione, è preziosa.

Gli esemplari che circolano tra i privati vanno preservati e, per quanto possibile, riprodotti, in modo da limitare il più possibile il prelievo in natura e mantenere questa specie, per lo meno in cattività. Scegliete esemplari riprodotti in cattività e, per quanto possibile, riproduceteli e cedeteli a vostra volta!

Comportamenti di Betta channoides

Gli abbracci riproduttivi

B. channoides è una specie di anabantide incubatore orale maschile. Le uova sono rilasciate poco alla volta, fecondate durante i molteplici abbracci riproduttivi (la fecondazione è esterna è l’abbraccio deve avvenire correttamente perché le uova siano fecondate), e raccolte in bocca dalla femmina. Alla fine dell’accoppiamento le uova fecondate vengono passate dalla femmina al maschio. Da questo momento inizia il periodo di incubazione.

L’incubazione orale e la crescita degli avannotti

Il maschio si nasconde tra le foglie e rimane pressoché immobile per i successivi venti giorni circa, ossigenando e movimentando le uova all’interno della cavità orale (a.k.a. la bocca). Dopo circa tre settimane (a 25 °C circa), il maschio rilascia una ventina di avannotti, scuri, completamente formati, senza sacco vitellino, pronti per iniziare ad alimentarsi. Il maschio non mangia gli avannotti né li attacca; nei primi giorni e anche successivamente si mostra abbastanza tranquillo, senza però proteggere attivamente la nidiata.

Le femmine sono tutto il contrario: come nella maggior parte degli incubatori orali maschili, le femmine si occupano di sfogare tutta l’aggressività. Si mostrano aggressive verso le altre femmine, verso i maschi non dominanti, verso i giovanili, e cacciano gli avannotti sin da appena schiusi. Belle tipette eh…

Infatti, viene spesso consigliato il trio invertito (2M – 1F) ma sinceramente ho trovato che la gestione più semplice sia la coppia, altrimenti il maschio “sottomesso” piglia un po’ troppe botte.

Appena nati gli avannotti sono scuri (alcune notizie da parte di allevatori riportano che in B. albimarginata gli avannotti siano chiari), e mantengono una colorazione marrone grigio fino alla maturità sessuale, quando nei maschi, compare la caratteristica (e meravigliosa) livrea scarlatta.

Comportamenti di Betta channoides

I maschi dominanti mantengono la livrea scarlatta costantemente se mantenuti al meglio. Se sottomessi o stressati, la livrea si spegne e vira verso il marrone. Sulle pinne rimane un lieve bandeggio bianco-nero.

Le femmine invece rimangono in tenuta mimetica, tranne  quando virano verso la livrea tigrata da parata, sfoggiata davanti al maschio o davanti agli avversari, siano essi maschi sottomessi, giovanili non maturi o altre femmine. Anche il maschio quando vuole mostrarsi aggressivo verso altri esemplari, pur rimanendo scarlatto, mostra la bandeggiatura verticale, soffusa in sottofondo.

A volte compaiono delle macchie marroni sulle pinne (o raramente sul corpo), che io ho interpretato come segni di stress, ma senza aver trovato nessun riscontro su questa mia teoria. In qualsiasi caso vanno e vengono, non si tratta di una condizione particolarmente preoccupante.

Si tratta di una specie dal forte istinto cacciatore. In pochi mesi ha eliminato una fiorente colonia di caridine adulte, grandi la metà dei Betta (daphniae e baby caridine non sono durate più di un paio di giorni, specialmente le seconde).
Se viene somministrato cibo vivo vi si fiondano.

L’acquario per Betta channoides

Per esperienza personale questa specie può essere ospitata al meglio anche in acquari relativamente piccoli, se si mantiene la coppia. Per il trio ci vogliono invece acquari un po’ più “grandi”. Consiglio l’allevamento di questa specie in mono-specifico, una vasca tutta per loro: vi ripagheranno.

Acquario Betta
Vista dall’alto del mio acquario, per mostrare cosa intendo con “tappeto di foglie.

Esperienza con Betta channoides

Porto la mia esperienza come esempio.
La vasca principale in cui li mantengo è in realtà una tartarughiera bassa di 60×30×20 cm. Inizialmente ho inserito 5 esemplari (3M e 2F), con una coppia decisamente più grande del restante trio. Appena arrivati hanno convissuto sufficientemente bene per qualche mese dividendo sommariamente i territori. Ma presto, quando la femmina più grande ha raggiunto la maturità sessuale, essa ha stressato fino ad ucciderli gli esemplari più piccoli. Sono rimasto con un trio invertito in cui i due maschi tutto sommato si ignoravano, avendo accettato una specie di divisione egualitaria della vasca, ma con una netta dominanza di uno sull’altro.

Il problema è sempre stata la spiccata aggressività della femmina, che prendeva di mira il non-dominante. Tutto ciò per dire che sono pesci piccoli, che non creano problemi dal punto di vista del carico organico. D’altra parte, va tenuto conto la loro spiccata aggressività intraspecifica.

Sono pesci che stanno prevalentemente sul fondo, tra le foglie, ma una volta acclimatati non è raro vederli uscire e sostare al di sotto di strutture quali rami in superficie o piante galleggianti. Sono abbastanza timorosi se non sono presenti strutture galleggianti o se la luce è troppo intensa, ma sono perfettamente in grado di stressarsi a morte pur con un acquario pieno di nascondigli. Reputo che la coppia sia la soluzione più semplice e godibile, in un acquario piccolo. Un gruppo è molto interessante e gestibile se si può fornire una area di base adeguata (80-100 cm di lunghezza con molti nascondigli).

In acquari piccoli

In acquari più piccoli (per esempio 40×30 o 30×30 cm) la convivenza diventa più complicata. Non sono pesci che hanno necessità particolari di nuoto ma dimensioni così contenute portano ad avere grosse difficoltà nella convivenza della coppia. Maschio e femmina, spostati in un acquario così piccolo spesso mal si sopportano. Diventa una possibilità solo per allevatori che possono pescare gli esemplari da un gruppo folto fino a trovare una coppia che funzioni (suppongo che il fattore maggiormente discriminante sia principalmente l’età: più gli esemplari sono vecchi, meno sono inclini ad accettarsi). Ciò implica anche di avere vasche di appoggio. Insomma: non comprate una coppia già adulta per metterla in un acquario troppo piccolo sperando funzioni, perché spessissimo non è così.

Io quando ho provato a spostare una coppia/trio in un acquario così piccolo ho dovuto fare 5/6 tentativi coinvolgendo altrettanti pesci diversi del gruppo. I primi maschi (adulti ormai da un po’) non hanno minimamente accettato la femmina anche se pronta all’accoppiamento. Io ho tre vasche di vario litraggio che ospitano questa specie e fortunatamente sono riuscito a evitare danni  ai pesci, ma non mi sento di consigliare acquari così piccoli a nessuno che non abbia vasche di appoggio e esperienza sufficiente per leggere i comportamenti di questi pesci.
Ovviamente il litraggio deve essere sempre sufficiente a mantenere una elevata qualità dell’acqua e i corretti parametri (pur essendo pesci piccoli sconsiglio di scendere sotto i 25/30 litri).

Gruppo di Betta channoides

Volendo ospitare un gruppo consiglio acquari dall’area di base decisamente maggiore per gestire l’aggressività. Sono pesci che vivono in pochi centimetri d’acqua in natura e non sfruttano particolarmente la colonna ma, ovviamente, la presenza di nascondigli, quali legni e piante, sviluppati in altezza, è sicuramente un aiuto per gli esemplari presi di mira.

Ad ogni modo, non eccederei: dovendo dare dei parametri, anche a seconda del numero degli esemplari, non scenderei sotto 70×30 con un po’ di colonna e molti nascondigli. Se le condizioni sono corrette, con un buon numero di avannotti, consiglierei una base più ampia (almeno 80-100 cm, anche con colonna d’acqua limitata) per mantenere più esemplari in maniera più consona (e semplice).

Se si riescono a reperire esemplari nati in cattività si tratta di pesci abbastanza robusti, ma per essere allevati al meglio consiglio:

  • acqua morbida (GH e KH minori di 3 punti ciascuna)
  • pH da subacido ad acido (minore di 6.5)
  • presenza di tannini

Betta channoides wild

In caso volessimo cimentarci con esemplari wild meglio estremizzare un po’ i valori, usando acqua d’osmosi pressoché pura, con durezze nulle, acidificanti (meglio se naturali), pH 6 e ricchezza di tannini.
Più le condizioni si avvicinano a quelle descritte per i wild, maggiori sono le percentuali di schiusa.

Temperatura

Sulla temperatura ho raccolto informazioni più contrastanti. Si tratta di una specie di acqua calda, che mal sopporta temperature inferiori ai 20-22 °C. Consultandomi con un noto allevatore italiano (thanks Massimo Tavazzi) mi era stato consigliato di allevarli a temperatura “bassa”, diciamo anche sotto i 20 gradi, in modo che i pesci non si stressassero per via di un metabolismo troppo accelerato, e fossero in grado di sopportare i picchi estivi (over 28-30 gradi).

Io però non supero mai i 25/26 °C e sinceramente ho notato un po’ di stress (comparsa delle macchie, livrea più spenta) e apatia abbassando la temperatura sotto i 22-23 gradi. Non avendo nessun caldo torrido da dover contrastare ho deciso di impostare il riscaldatore su 24 gradi così da avere non meno di 23 gradi in vasca. Durante un trasloco però mi è successo che si fulminasse un riscaldatore e i pesci sono rimasti per un certo periodo a circa 19 gradi. Non ho notato particolare mortalità legata alla temperatura (varie taglie), ma un sensibile calo nel metabolismo. In questo senso, valuto che la proposta di dare una certa ciclicità ai pesci sia sensata.

Nell’ambiente da cui provengono non sperimentano temperature così basse, ma non dimentichiamo mai che i pesci che alleviamo, anche cercando di ricreare fedelmente le condizioni in natura, vivono in acquario e questo spesso porta ad accortezze necessarie per farli vivere la meglio.

Filtraggio, illuminazione e arredo

Sono pesci che non vivono certo in forte corrente, per questo ho optato per un filtro ad aria. Questo mi permette di ottenere tutta la filtrazione di cui ho bisogno e, al contempo, facilitare la proliferazione di microfauna, estremamente utile come integrazione alimentare (essenziale per gli avannotti). E fornisce ossigeno in abbondanza.

Non sono pesci timidi, ma escono molto più volentieri se hanno qualcosa sopra la testa e un’illuminazione non esagerata. Consiglio di utilizzare delle galleggianti in quanto sono apprezzate da avannotti e adulti. Io ho usato della Salvinia ma qualsiasi galleggiante va bene. Inoltre si possono utilizzare delle Cryptocoryne e del Microsorum pteropus (volendo usare piante originarie dell’isola). Anche piante a stelo e muschi possono rivelarsi utili nell’allestimento.

Ciò che secondo me non deve mancare sono le foglie. In natura vivono in distese di foglie cadute e riproporre questo ambiente aiuta ad allevare questi pesci al meglio. Quindi via libera a foglie e legni (rigorosamente secchi). Ottime la catappa (senza esagerare), la magnolia, la quercia e il faggio.

Sempre Massimo (l’allevatore di cui ho parlato sopra) consigliava di fornire nascondigli (quali rami, piante) anche nella parte superiore dell’acquario, in quanto aveva osservato i suoi maschi incubare anche tra gli ostacoli vicino alla superficie. Personalmente, i miei maschi si sceglievano una foglia e rimanevano lì nascosti per quasi tutto il periodo di incubazione. Li ho sempre visti rintanarsi tra le foglie, coperti di detrito vegetale. Inoltre, la distesa di foglie crea nascondigli ideali per gli avannotti, che al suo interno, oltre che rifugio, trova la microfauna essenziale per il sostentamento nel primo mese di vita.

Attenzioni per il letto di foglie

Il letto di foglie però può essere una scelta poco saggia, se non gestito al meglio. Parlando con Massimo e confrontando le nostre esperienze di allevamento, l’elevato materiale organico che deriva dalle foglie stesse risulta essere un problema serio, soprattutto in concomitanza dei picchi estivi.

Il consiglio è che, in presenza di elevate quantità di foglie e legni, si applichino ulteriori attenzioni in preparazione dell’estate. Giocando in anticipo, si può pensare a rimuovere un po’ di materiale organico (soprattutto detrito e foglie) dall’acquario ad inizio estate. Bisogna porre particolare attenzione a mantenere l’acqua pulita e ossigenata, particolarmente nei periodi in cui la temperatura sale sopra i 27/28 °C per più giorni, eventualmente aumentando la frequenza dei cambi.

Ambratura e fondo

Non è necessario, per il benessere del pesce, che siano immersi nella Coca-cola: una leggera ambratura è più che sufficiente. Il resto è dettato dai gusti personali dell’allevatore, ma mi sento di sconsigliarne l’allevamento in assenza di ambratura, con acqua cristallina e magari luce forte. I pesci si mostrerebbero poco e anche la livrea ne risentirebbe.

 

Betta channoides
Trova il Betta!

Il fondo non è di particolare importanza, unica accortezza che sia assolutamente inerte, in modo da non contrastare gli acidificanti che inseriremo (naturali o non).

Sconsiglio l’allevamento con altri pesci, anche perché la mia personale esperienza si limita all’allevamento in monospecifico. Immagino però che la presenza di qualche microciprinide, come Boraras, Microdevario o Sundadanio non dia particolare fastidio ai betta.

Alimentazione di Betta channoides

Femmina Betta channoides
Non è facile da vedere, ma questa è una femmina di Betta quasi adulta con una caridina adulta in bocca (era lunga quasi la metà di lei, si vede spuntare l’addome del crostaceo). RIP.

Sono pesci carnivori, che si nutrono principalmente di invertebrati acquatici e insetti. Accettano anche il secco se opportunamente condizionati, ma preferiscono il congelato (e, ovviamente, il vivo). Una valida alternativa potrebbe essere rappresentata dal canned food (delle lattine di cibo cotto a bassa temperatura – apprezzatissimo dai pinnuti), ma visto le quantità esigue che consumano la vedo una soluzione vantaggiosa soprattutto se si allevano altre specie oltre a questa.

Come alimenti base, ottimi sono daphniae, artemia e mysis. Molto apprezzati sono i chinomorus, ma è meglio non esagerare, mentre i tubifex, altrettanto apprezzati, tendono a gonfiarli molto. In generale possono essere somministrati tutti gli invertebrati acquatici, ma con moderazione e buonsenso, rispettando sempre la buona pratica di qualche giorno a settimana di digiuno.

Per gli avannotti è bene non far mai mancare del cibo (microworms, nauplii di artemia, cichlops, anche canned food o, alla peggio, congelato, etc), per poi abituarli gradualmente a qualche giorno di digiuno settimanale.

Riproduzione di Betta channoides

Betta channoides riproduzione
Appena concluso il passaggio delle uova dalla femmina (ancora in livrea riproduttiva) al maschio (con la bocca piena).

Inizio questo paragrafo con una precisazione importante: il periodo di maggior fertilità e di più alto successo riproduttivo si ha tra il primo e il secondo anno di età. Non sono pesci che crescono velocemente; ci mettono circa 10/12 mesi ad arrivare a maturità sessuale completa. Passati i due anni, però, il successo riproduttivo cala vistosamente: la femmina è meno fertile, il maschio ha maggior difficoltà a portare a compimento l’incubazione ed entrambi i sessi sono notevolmente meno inclini ad accettare altri esemplari nello stesso territorio. È bene quindi assicurarsi sempre dei riproduttori che siano nel loro miglior momento.

Ho già parlato dello spettacolare abbraccio caratteristico del genere. Ora dovrei ripetermi ma per fortuna (vostra e mia) sono riuscito a filmarlo, quindi lascio parlare le immagini.

Normalmente inizia di mattina presto e si protrae per qualche ora. Poi si può notare il maschio con una bocca gigantesca e la femmina notevolmente dimagrita. Il maschio quindi cerca un posto tranquillo dove restare a prendersi cura dell uova. Come detto, le ossigena e le muove con movimenti degli opercoli all’interno della bocca. Può arrivare ad “ospitare” ben più di 20 uova. Dopo circa tre settimane gli avannotti sono pronti per essere rilasciati. Il maschio esce allo scoperto e inizia a cercare un luogo tranquillo per rilasciare gli avannotti.

Interventi durante la riproduzione

Personalmente questo è il momento in cui intervengo se voglio garantirmi un buon numero di avannotti. Gentilmente, catturo il maschio e lo isolo in una nursery a rete, con qualche galleggiante e foglia sul fondo. Così facendo riduco lo stress al minimo e mi assicuro che la femmina non si cibi degli avannotti. Lascio lì il maschio tranquillo finché non sputa tutti gli avannotti. Il maschio non caccia gli avannotti quindi non c’è nessun rischio a lasciargli tutto il tempo che gli serve (normalmente dopo un giorno da quando sputa il primo, tutti gli avannotti sono rilasciati).

Quindi sposto il maschio in un’altra nursery a rete e sposto la nursery con gli avannotti, senza mai esporli all’aria, in una vaschetta. Li ambiento all’acqua della vasca di accrescimento (con valori simili/uguali alla vasca di riproduzione) ed, infine, ivi li rilascio. Si tratta a tutti gli effetti di betta in miniatura, lunghi un paio di millimetri al massimo, pronti ad alimentarsi. Sono decisamente robusti, e sopportano questo trattamento senza perdite.

Il maschio lo mantengo in isolamento un paio di giorni almeno, per avere la possibilità di alimentarlo a dovere, altrimenti si ri-accoppierebbe immediatamente, se la femmina dovesse essere pronta. Sopportano tranquillamente 2/3 riproduzioni consecutive ma non è certo una pratica che consiglio. Meglio dargli una pausa rigenerante.

Avanotto di Betta channoides
Avanotto di Betta channoides a un giorno di vita.
Avanotto di Betta channoides
Avanotto di Betta channoides a tre giorni di vita.

Alternativamente, per rallentare le riproduzioni si può condizionare la femmina… ma al contrario. In pratica si centellina il cibo dopo l’abbraccio riproduttivo. Mentre il maschio incuba, non si alimenta la femmina. O meglio la si alimenta molto poco, una volta a settimana (ovviamente funziona se non c’è cibo vivo in vasca).

Infine, la terza opzione è mimare una stagionalità, magari nei periodi più estremi dell’anno, estate ed inverno. Si alza la conducibilità in vasca con dei cambi mirati e, in teoria, con l’aiuto di temperature troppo basse o alte, si dovrebbero interrompere le riproduzioni, che invece avverrebbero in corrispondenza di primavera e autunno.

Gestione delle riproduzioni con un trio

Allevare un trio in teoria aiuterebbe la gestione delle riproduzioni. In condizioni ideali, come quelle dell’acquario, con parametri adatti e abbondanza di cibo, la femmina sviluppa delle uova pronte all’accoppiamento più velocemente di quanto  il maschio incubi. Ciò, in natura aiuta a massimizzare le riproduzioni, permettendo alla femmina di accoppiarsi con quanti più maschi possibile. Ecco che quindi un secondo maschio, pronto accoppiarsi mentre il dominante incuba, può meglio cadenzare le riproduzioni. Ma come detto sopra non è che si tratta di una reale alternanza nella dominanza. Nel mio caso, il maschio sottomesso continuava a prenderne di più e alla fine ne ha risentito tanto da costringermi a separarlo, lasciando la coppia.

Fallimento nell’incubazione

Se il maschio è giovane, magari alla prima riproduzione, spesso non è in grado di portare a termine il periodi di incubazione. In questi casi, nell’arco di un paio di giorni ingoia le uova e si gonfia come un pallone per via della massa ingerita (avete presente i casi di idropsia?!). È normale e non si può agire in nessuno modo (magari non alimentatelo). In qualche giorno le uova vengono digerite e la coppia riproverà la riproduzione non appena anche la femmina sarà nuovamente pronta.

Separare gli avannotti, ovviamente, ne massimizza la sopravvivenza, ma se la vasca è adeguatamente gestita e piena di nascondigli, non è raro che un buon numero di avannotti raggiunga la maturità anche in vasca. E sì… appena diventano abbastanza grandi se le danno.

Ringraziamenti

La mia gratitudine prima di tutto va allevatore che me li ha dati, assieme ad un sacco di conoscenza decennale sull’allevamento di questa specie (li chiameremo Eric).
Un grazie enorme al Massimo Tavazzi che mi ha fornito delle info utili per attuare l’allevamento di questa specie stupenda anche in Italia (sì, io sono emigrato). E a Diego per l’editing di questo e di tutti gli altri articoli che vedete in archivio.

Bibliografia

  1. Kottelat, M. and P. K. L. Ng, 1994 – Ichthyological Exploration of Freshwaters 5(1): 65-78 Diagnoses of five new species of fighting fishes from Banka and Borneo (Teleostei: Belontiidae).
  2. Tan, H. H. and P. K. L. Ng, 2006 – Ichthyological Exploration of Freshwaters 17(2): 97-114 Six new species of fighting fish (Teleostei: Osphronemidae: Betta) from Borneo.
  3. Tan, H. H. and P. K. L. Ng, 2005 – Raffles Bulletin of Zoology Supplement 13: 43-99 The fighting fishes (Teleostei: Osphronemidae: Genus Betta) of Singapore, Malaysia and Brunei.
  4. Tan, H. H. and P. K. L. Ng, 2005 – Raffles Bulletin of Zoology Supplement 13: 115-138 The labyrinth fishes (Teleostei: Anabantoidei, Channoidei) of Sumatra, Indonesia.
  5. Wheaterspark.com Kalimantan Timur
  6. Wikipedia. Betta channoides
  7. SeriouslyFish. Betta channoides
  8. Fishbase. Betta channoides

Crediti

Cartina Indonesia: By TUBS – Own workThis W3C-unspecified vector image was created with Adobe Illustrator. This file was uploaded with Commonist. This vector image includes elements that have been taken or adapted from this: Indonesia location map.svg (by Uwe Dedering), CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16763659

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Workshop su un biotopo del Rio Nanay https://acquario.top/workshop-biotopo-rio-nanay/ https://acquario.top/workshop-biotopo-rio-nanay/#respond Sat, 29 Dec 2018 13:32:40 +0000 https://acquario.top/?p=3355 Traduzione dell'articolo "Rio Nanay Biotope Workshop at Maidenhead Aquatics in Melksham" di Chris Englezou.

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Con l’intento di far conoscere al pubblico italiano un altro autore che ammiriamo molto, siamo lieti di presentare quella che speriamo essere solo la prima di una lunga serie di traduzioni!
Si tratta di un workshop di Chris Englezou volto a ricreare l’ambiente tipico che abitano i discus (S. aequifasciatus) lungo il Rio Nanay.

Chris non ha certo bisogno di presentazioni ma noi siamo precisini e gliela facciamo lo stesso: ricercatore e naturalista, ha innumerevoli spedizioni zoologiche all’attivo, soprattutto in Amazzonia.
È la persona che sta dietro al portale C.E. Fish Essentials, pieno di spunti interessantissimi per noi appassionati (poveri, che le spedizioni non le possiamo fare… per ora), ha creato una linea di mangime estremamente curata e, soprattutto, è tra i fondatori di Freshwater Life Project, una no-profit volta alla salvaguardia della biodiversità acquatica, che coinvolge ricercatori e appassionati in tutto il mondo (se vi piace l’idea ci sono vari modi per supportare il progetto 😘).

Sperando di fare cosa gradita, finiamola con le chiacchiere, non prima di aver ringraziato Chris Englezou, e diamo la parola a chi i pesci li ha osservati per davvero!

 


Workshop su un biotopo del Rio Nanay nel negozio Maidenhead Aquatics a Melksham

Chris Englezou, 20 marzo 2017

Questo weekend sono stato invitato ancora una volta a Melksham dal negozio Maidenhead Aquatics per un’altra dimostrazione su un nuovo, autentico, acquario biotopo.

Durante la mia ultima visita ho mostrato come ricreare il Rio Atabapo durante la stagione delle piogge, mentre questa volta, dopo aver consultato il team di Maidenhead sulle possibili opzioni, ho dato la mia opinione e, una volta confermata la lista dei pesci, ho deciso per acquario biotopo basato su di un lago lungo il Rio Nanay nella stagione secca.

Il team di Melksham ha fatto di tutto perché fossero disponibili per la dimostrazione dei pesci interessanti e ho deciso per delle specie che coesistono in natura, che avrebbero convissuto felicemente assieme e di cui sarei realisticamente riuscito a soddisfare le esigenze di spazio, viste le dimensioni dell’acquario che avrei utilizzato.

È cruciale, in qualsiasi acquario-biotopo, che si ricrei la nicchia di ciascuna specie, per creare una reale armonia in vasca; questo, per giunta, promuove i comportamenti naturali!

In qualsiasi acquario biotopo, c’è spesso una specie regina – che si intende essere, cioè, il centro dell’attenzione.
In questo caso, si trattava di un piccolo gruppo di Discus “verdi” selvatici: Symphysodon aequifasciatus.

La storia dei discus del Rio Nanay è abbastanza interessante, in quanto si suppone che la popolazione non sia nativa della zona, ma introdotta dall’uomo, più o meno accidentalmente, una trentina di anni fa – probabilmente da esportatori che non volevano percorrere distanze così lunghe per pescarli.

Rio Nanay
Il Rio Nanay è un tributario di acque scure del Rio delle Amazzoni. La maggior parte del suo substrato è formata da sabbia bianca.

Per ogni acquario biotopo che creo, tendo a seguire una serie specifica di protocolli, che mi aiuta ad essere organizzato e sicuro che la vasca sia davvero accurata.
Uno dei più importanti processi che intercorrono nella creazione della vasca è la ricerca che c’è alla base, e per questo particolare set up ho cercato di portare il pubblico attraverso un viaggio immaginario.

Ho deciso di includere una certa varietà all’interno del letto di foglie, nel quale ogni tipo di foglia racconta la storia di una diversa specie di albero, e la relazione che quest’ultimo ha con questo habitat. Credo che il mio scopo principale fosse cercare di racchiudere tutto ciò che ho visto e sentito in Amazzonia attraverso queste creazioni, nella speranza di ispirare ad altri gli stessi sentimenti.

Una risorsa estremamente importante nella creazione di questo biotopo è stata la guida scientifica del Field Museum intitolata “Plantas comunes de la Tahuampa del Rio Nanay”, traducibile come “Piante comuni della foresta inondata stagionale del Rio Nanay”. Usando questo documento e alcune delle mie osservazioni personali ho potuto mettere assieme una interessante lista di foglie decorative, sia autentiche che in sostituzione delle originali (si guardi l’elenco poco più avanti).

Una cosa molto importante da ricordare quando si sperimenta con differenti specie di foglie e decori è accertarsi che siano “acquario-compatibili”.
Uno dei modi migliori per appurare ciò è usare il motore di ricerca accademico Google Scholar, per vedere quali studi sono stati eseguiti sulla specie che si sta considerando.
Per esempio, se pensate di utilizzare foglie di Catappa potete digitare quattro parole come “Terminalia” (NdT: il genere a cui appartiene la Catappa), “catappa”, “leaf” (NdT: “foglia” in inglese) e “toxicity” (NdT: “tossicità”), per scoprire quali ricerche scientifiche sono state fatte e a quali è possibile accedere.

NdT: Per la maggior parte non è possibile accedere gratuitamente agli studi scientifici. Molti sono pubblicati su riviste scientifiche che richiedono abbonamenti per essere fruibili. Fortunatamente è sempre accessibile l’abstract, che riassume la maggior parte delle informazioni fornite nell’articolo. Inoltre, molte università rendono disponibili, gratuitamente, dei mezzi ai propri studenti per accedere ad un numero maggiore di articoli, a seconda delle convenzioni che l’università stessa stringe con le singole riviste.
Se ne avete la possibilità, sfruttate questo tipo di servizi!

Allestimento dell’acquario

Pesci

  • Symphysodon aequifasciatus (Discus verde) × 8
  • Biotodoma cupido (Ciclide C222) 3+
  • Trachelyichthys exilis 1-2 coppie
  • Hyphessobrycon erythrostigma × 20+
  • Petitella georgiae × 20+
  • Carnegiella strigata × 12+

Piante

  • Philodendron sp. (in sostituzione di P. rimachii).
  • Monstera deliciosa (in sostituzione di M. dilacerata).

Prendere le piante in vaso e lavare via tutta la terra, lasciando le radici a penzoloni nell’acqua, facendole appoggiare ai rami di Magnolia.

Decorazioni

  • Sabbia silicea bianca.
  • Estratto di tannini (le pignette di ontano si dimostrano una valida soluzione).
    Le pigne possono essere posizionate nel filtro dentro una retina – meglio non metterle in acquario, poiché non sono “biotopicamente corrette”.
  • Rami (ottimi quelli di quercia).
  • Magnolia grandiflora, rami e foglie.
    Le foglie e i rami di Magnolia glandiflora sostituiscono Licornia sp. e Triplaris sp., che si trovano lungo il Nanay, essendo di aspetto molto simile.
  • Ceiba pentandra, foglie.
  • Persea americana, foglie.
  • Le foglie di Persea americana sostituiscono quelle di Persea nudigemma, nativa del Nanay.
    Le foglie di Terminalia catappa potrebbero sostituire quelle di Pouteria sp., volendo.
  • Phoenix canariensis, fronde (in sostituzione di Euterpe oleracea).
  • Chamaerops, frutti (in sostituzione dei frutti di Mauritia carana).
  • Eriobotrya japonica, foglie (in sostituzione di Couepia sp.).

Parametri

  • pH: 5.2 – 5.3
  • Conducibilità: 6.0 μS/cm
  • Temperatura: 27 – 28 °C
  • Ossigeno: 2.8 mg/l
  • Tipologia d’acqua: acque scure (blackwater)
  • Temperatura di colore della luce: ~ 6500 K

Le foglie di Ceiba e Persea sono state raccolte da piante coltivate e propagate da me (la Ceiba da semi che ho raccolto io stesso durante il mio ultimo viaggio).
L’aggiunta di vere foglie amazzoniche è sempre una gran soddisfazione. C’è qualcosa di così soddisfacente insito in questa operazione che mi mette a mio agio tutte le volte: qualche tipo di antropomorfica empatia, suppongo.

Allestimento Rio Nanay
Le due specie di Caracidi, Petitella georgiae e Hyphessobrycon erythrostigma formano i loro banchi, mentre i pescigatto Trachelyichthys exilis trovano rifugio nel denso letto di foglie e i pesci accetta, Carnegiella strigata, si aggregano in un gruppo al si sotto delle fronde a pelo d’acqua. I Discus e i Biotidoma nuotano felicemente dentro e fuori la loro zona sicura, tra i rami caduti e le foglie di palma, all’ombra dell'”albero”.

Avendo ricevuto molte richieste da parte di amici e follower di altre nazionalità che non potevano partecipare, ho deciso di azzardare una registrazione, cosicché l’intero processo potesse essere fruibile anche a posteriori attraverso una diretta Facebook di due ore.
Poco più sotto è possibile vedere anche un altro video che mostra l’aspetto finale dell’acquario.

Biotodoma
Ma la cosa che più mi ha ripagato degli sforzi compiuti per ricreare questo biotopo è stato il breve momento durante il quale ho potutto osservare un Biotodoma spiluccare un seme/frutto di Chaemarops. Essere in grado di osservare questi comportamenti naturali è una soddisfazione impareggiabile, qualcosa che una vasca “classica” non riesce a trasmettere.

Allestimento biotopo Rio Nanay
L’acquario alla fine appare come la rappresentazione di una zona ripariale di un lago d’acque scure lungo il Rio Nanay. Al di sotto delle fronde di Licania, con qualche pianta epifita a crescere attraverso i rami e radicare nell’acqua sottostante, un letto composto da varie foglie e legnetti provvede a fornire ulteriori microhabitat per le specie presenti. L’inclusione di frutta vera come decorazione è probabilmente una novità assoluta.

Felipe Cantera

Questo articolo è dedicato alla memoria di Felipe Cantera dall’Uruguay che è tristemente scomparso stamattina (20/03/2017): grazie per il tuo indimenticabile contributo al mondo della biodiversità acquatica.


Articolo ed immagini: © Chris Englezou – cefishessentials.com
Tutti i diritti sono riservati. L’articolo non può essere riprodotto, copiato, distribuito o usato senza l’esplicita autorizzazione scritta di Chris Englezou.

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Satanoperca daemon in natura https://acquario.top/satanoperca-daemon-in-natura/ https://acquario.top/satanoperca-daemon-in-natura/#respond Sat, 24 Nov 2018 17:45:37 +0000 https://acquario.top/?p=3013 Vi presentiamo il terzo articolo in traduzione frutto della collaborazione con il mitico Ivan Mikolji, che ringraziamo. Come detto, terzo articolo e terzo ciclide! Questa volta la specie oggetto del nostro interesse è più inusuale, per quanto estremamente diffusa in natura: tuffiamoci quindi alla scoperta del Satanoperca daemon. Satanoperca daemon in natura In natura alcuni […]

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Vi presentiamo il terzo articolo in traduzione frutto della collaborazione con il mitico Ivan Mikolji, che ringraziamo.
Come detto, terzo articolo e terzo ciclide!
Questa volta la specie oggetto del nostro interesse è più inusuale, per quanto estremamente diffusa in natura: tuffiamoci quindi alla scoperta del Satanoperca daemon.

Satanoperca daemon
Satanoperca daemon, Ivan Mikolji / 2014.

Satanoperca daemon in natura

In natura alcuni pesci sono più diffusi di altri.
Satanoperca daemon è molto comune nella maggior parte dei corsi d’acqua al di sotto del fiume Apure, in Venezuela. I locali li chiamano “Faccia di Cavallo” o “Aspira Terra”.
In acquariofilia sono conosciuti come col nome inglese di “Three Spotted Eartheaters” (letteralmente: Pappaterra a tre macchie – NdT); prendono il nome dalle tre macchie nere che possono essere notate sul loro corpo, due lungo la linea laterale e una sul peduncolo caudale.
Per me S. daemon è semplicemente magnifico. Sono l’esempio vivente di come la morfologia e il comportamento dei pesci si adattino per sfruttare particolari nicchie biologiche e colonizzare con successo specifiche aree dei corsi d’acqua; nel loro caso, il fondo.

Panoramica di un corso d'acqua chiara, Venezuela.
Panoramica di un corso d’acqua chiara, Venezuela.

Pur essendo estremamente facile osservare S. daemon in natura, di contro, è molto difficile fotografarlo. Scattare foto “daemonfavolose” che li ritraggano è complicato perché sono pesci abbastanza timidi e non si avvicinano molto.
Quando provi ad approcciarli o a entrare nel loro territorio, semplicemente nuotano via. Come cercare di attaccare due magneti dallo stesso polo. Mantengono sempre la stessa distanza, di circa tre o quattro metri. Ho provato a fregarli varie volte per ritrarli degnamente, ma con poco successo.
Neanche nascondersi dietro a piante o rocce si è rivelata essere un’opzione percorribile perché S. daemon risiede in spazi aperti, su banchi di sabbia, con piante acquatiche molto basse o completamente assenti. Le rocce, invece, banalmente non sono presenti nel loro habitat, e, dove invece ci sono, hanno le dimensioni di un campo da calcio, o più grandi ancora, rendendole inutili come nascondiglio.
Gli unici scatti ravvicinati che sono riuscito a fare sono stati possibili solo nascondendomi dietro a tronchi caduti, mentre le altre immagini sono state semplicemente scattate da lontano. Più i pesci sono lontani dalla fotocamera, più le foto sembreranno sfocate e intorbidite. Per trovare immagini di S. daemon ho dovuto vagliare migliaia di scatti salvati nei miei dischi fissi, perché presumibilmente sono stati fotografati in più dell’80% delle nostre spedizioni.
Sono stati ritrovati in una gran varietà di habitat a causa della loro ampia distribuzione. Li ho osservati personalmente vivere in acque nere, verdi, blu e limpide. È abbastanza inusuale guardare così tanti e differenti toni di colore quando ci si riferisce ad una sola specie di pesce.

Satanoperca daemon

Satanoperca daemon è uno dei pesci che ho osservato più spesso in natura durante gli anni. Questo è perché presente nella maggior parte dei corsi d’acqua che abbiamo esplorato.
I giovani Pappaterra amano combattere tra loro. In natura si possono spesso osservare mentre litigano. Si afferrano l’un l’altro per la bocca e iniziano a scuotere vigorosamente il corpo. Poi nuotano attorno all’avversario, sventolando le pinne e protrudendo gli opercoli.
Si tratta di uno spettacolo eccitante da osservare perché non arrivano a ferirsi e, quando si stancano, riprendono a nuotare vicini come una famiglia. Sembra più un momento giocoso che uno scontro per delineare gerarchie o territori. Gli esemplari più vecchi non combattono, hanno legami sociali molto solidi e sono estremamente pacifici, tra loro e con le altre specie.
È molto raro vederli da soli. Di solito vivono in coppie o piccoli banchi, anche con più di otto individui.
Questi pesci amano la luce del sole. Se c’è un punto illuminato nel fiume, loro si troveranno lì, a crogiolarsi.

In natura, S. daemon passa il tempo filtrando i fondali dei fiumi.
Domanda: cosa ottenete quando incrociate un pesce con una aspirapolvere e uno spazzaneve? Risposta: un Satanoperca daemon, il Three Spotted Eartheater.
S. daemon non si ritrova in fiumi, o nelle porzioni degli stessi, caratterizzati da forte corrente. I corsi d’acqua che popola hanno differenti tipologie di substrato di fondo a seconda della località, ma con vari “ingredienti” in comune. Anni di esperienze sul campo mi hanno insegnato a riconoscerne la composizione con esattezza, e posso affermare che sono facilmente riproducibili in casa.
La ricetta potrebbe essere la seguente: per fare uno stufato di fondo del Sud dell’Orinoco si ha bisogno di molta sabbia silicea, piccole foglie e rametti in decomposizione, alghe, uno spruzzo di materiale fecale di pesce appena evacuato, piante acquatiche tritate finemente (masticate funzionerebbero ancora meglio) e un pizzico di fango. Quindi mescolare tutto assieme e lasciar sedimentare e riposare per 48 ore a 30 °C prima di servire.
Per fare la versione del Nord dell’Orinoco basta sostituire circa il 15% della sabbia silicea con argilla giallo pallido o color avorio.

Quindi S. daemon mangia delizioso stufato di fondo? Non esattamente. In realtà si nutre dei microorganismi che vivono, si alimentano, si riproducono o si nascondono all’interno o sopra lo “stufato”.
Si può affermare che il menu bentonico privo di glutine di S. daemon consista di microcrostacei, perifiton, piccoli vermi, larve di insetti acquatici, tra i quali coleotteri e ditteri, piccolissimi pesci e uova di pesci.
S. daemon non si ciba, come invece fa la maggior parte degli altri pesci, degli insetti che cadono in acqua. Questo è dovuto alla loro morfologia. La loro bocca specializzata, protrattile verso il basso, è specificatamente progettata per aspirare il substrato, filtrare ciò che è considerato edibile, e poi liberarsi o espellere il resto dello “stufato” attraverso le aperture degli opercoli. È comprensibile che a volte si confondano e ingoino un po’ dello “stufato” stesso, ma non è certo la loro fonte primaria di cibo.

Il Three Spotted Eartheaters è un pesce bentonico. Non ci sono sorprese, e ciò rende la pianificazione di un acquario molto più semplice. È facile trovarli perché saranno sempre attaccati al fondo.

Se volessi ricreare un acquario basato sul bacino del fiume Orinoco, S. daemon sarebbe uno dei primi pesci a cui penserei. È un comune denominatore tra la fauna ittica di tutta l’area. Pianificare un acquario con un pesce così prevedibile è decisamente conveniente. Niente sorprese, si sa che avrà interazione principalmente col fondo dell’acquario.
Per allevarli con successo è necessario una vasca grande, più è lunga meglio è.
Vi racconto come l’ho concepito, così, mentre scrivevo.
Il mio acquario dei sogni sarebbe lungo 2 metri o più, 40 cm o più di larghezza, e alto 50 cm o più. Aggiungerei poi almeno 10 cm dello “stufato” menzionato prima, modificando il mix in questo modo: il 50% della sabbia silicea sarebbe bianca con granulometria di circa 3mm, il 30% sarebbe invece più fine, mentre il 20% finale sarebbe della sabbia di fiume finissima color bronzo. Non userei un filtro sottosabbia.
L’arredo sarebbe estremamente semplice. Sono sempre stato un sostenitore del porre estrema attenzione nelle parti che costituiscono le fondamenta dell’acquario piuttosto che nelle decorazioni. Aggiungerei un po’ di foglie sbriciolate a formare un letto, non troppo esteso, al di sopra del fondo. Includerei un lungo e stretto pezzo di driftwood, inclinato con un angolo di 45 gradi, nel retro dell’acquario. Cercherei di lasciare quanto più spazio aperto sul fronte dell’acquario, libero, affinché i S. daemon possano nuotare facendo gruppo (sì, sono ciclidi da banco) e filtrare il substrato. Se il legno è posto inclinato, avrà meno contatto con il fondo e lascerà più spazio ai pesci per mostrare i loro incredibili comportamenti.
Non aggiungerei nessuna roccia in un setup per una vasca sul fiume Orinoco, in quanto sono sostanzialmente assenti in tutto il bacino. Manterrei filtrazione e corrente al minimo, più diffuse e deboli possibile. Ricordate, saranno loro a sifonare naturalmente il fondo ed a far sì che i rifiuti raggiungano il filtro.
La luce sarebbe discretamente intensa sull’80% della superficie dell’acquario. Cercherei di trovare dei lunghi e fini tubi LED, per fissarli agli angoli di una copertura in legno, posta al di sopra dell’acquario. Questo per far sì che la luce ricrei l’effetto dei raggi del sole che bucano l’acqua, con la stessa angolazione del pezzo di legno. Questi fasci di luce rifletterebbero i detriti alzati dai S. daemon durante l’alimentazione, creando un effetto backscatter (altresì noto come effetto retrodiffusione – NdT); meraviglioso! Al solo pensarci mi vien da sorridere.
L’idea di avere un inquilino dell’acquario che costantemente interagisce, cambia e movimenta qualcosa di immobile e inerte come il fondo è semplicemente incredibile. Per altro, essere in grado di seguire il flusso dell’acqua e le particelle in movimento attraverso fasci di luce, è altrettanto incredibile. Osservare i detriti non sarà mai più divertente e interessante di così.
Ci sono tre regole chiave per mantenere al meglio S. daemon in acquario. Prima di tutto è necessario che l’acqua sia tenera e acida, con pH sotto al 6. Successivamente il KH deve essere inferiore a 30 mg/L (ppm), e il GH inferiore a 20 mg/L (ppm); ma il segreto più importante riguarda la temperatura: S. daemon preferisce acque calde e non vive bene al di sotto dei 26 °C. 29 °C è la temperatura ottimale.

I compagni di vasca che terrei in considerazione sarebbero grandi abbastanza da non essere mangiati e, allo stesso tempo, non dovrebbero competere o disturbare il loro mondo sommerso tutto da filtrare.
CorydorasApistogramma e tutti gli altri ciclidi o pesci gatto di fondo sono fuori questione.
MesonautaPterophyllum o qualsiasi altro ciclide che occupi la zona centrale della colonna d’acqua sono ben accetti.
Anche grandi tetra da banco potrebbero abitare il lungo acquario e aiuterebbero a donare un po’ di movimento alla parte superiore della vasca.
Aggiungerei poi uno o due grandi Pleco per ridurre al minimo il lavoro di pulizia dei vetri (noi di Acquario.top abbiamo a cuore la vostra salute fisica e consigliamo, invece, di armarvi di raschietto e olio di gomito – vedi nota sotto – NdT).

Come cibo di riferimento somministrerei a S. daemon lombrichi, piccoli crostacei, inclusi gli economici Glass Shrimp (Palaemonetes paludosus, un gamberetto dulciacquicolo nordamericano – NdT) e, naturalmente, poco alla volta, cercherei di abituarli a mangiare dei fiocchi, o qualsiasi altro cibo secco commerciale, includendo anch’esso nella dieta.

Wow, penso proprio che allestirò un acquario biotopo per Satanoperca daemon, suona così semplicemente sofisticato!

Questo articolo è stato pubblicato su:
– Practical Fishkeeping Magazine – Settembre 2014


Nota sui Pleco

Vi esortiamo a pulire i vetri, se necessario, senza l’aiuto dei Pleco. Questi pesci (come tutti gli altri) hanno bisogno di cure e alimentazione specifiche e le sole alghe sui vetri non saranno sufficienti.

È vero che con le luci puntate “di traverso”, come suggerito da Ivan Mikolji, i vetri saranno un posto più favorevole per lo sviluppo algale, tuttavia non è molto realistico attendersi che saranno sufficienti per il mantenimento di questi pesci.
Anche se mangiano alghe, non possono essere definiti, né sono, “pulitori” e le alghe sui vetri non sono adeguate come unico alimento.


Articolo ed immagini: © Ivan Mikolji www.mikolji.com
Tutti i diritti sono riservati. L’articolo non può essere riprodotto, copiato, distribuito o usato senza l’esplicita autorizzazione scritta di Ivan Mikolji.

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Il ciclide Mikrogeophagus ramirezi in natura https://acquario.top/mikrogeophagus-ramirezi-in-natura/ https://acquario.top/mikrogeophagus-ramirezi-in-natura/#respond Fri, 16 Nov 2018 19:00:16 +0000 https://acquario.top/?p=2876 È con viva e vibrante soddisfazione che proponiamo la traduzione di un secondo articolo del grande Ivan Mikolji. Questa volta l’esploratore venezuelano ci rende partecipi di gioie e dolori di una spedizione volta alla ricerca dei magnifici Ram. Il ciclide Mikrogeophagus ramirezi in natura Dopo molti anni passati a investigare ed esplorare i corpi d’acqua […]

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È con viva e vibrante soddisfazione che proponiamo la traduzione di un secondo articolo del grande Ivan Mikolji.
Questa volta l’esploratore venezuelano ci rende partecipi di gioie e dolori di una spedizione volta alla ricerca dei magnifici Ram.


Il ciclide Mikrogeophagus ramirezi in natura

Dopo molti anni passati a investigare ed esplorare i corpi d’acqua dolce del Venezuela, posso dire di aver nuotato accanto a una gran varietà di ciclidi. Alcuni di essi sono estremamente rari nell’hobby acquariofilo, come Laetacara fulvipinnis, mentre altri sono molto più diffusi, come Heros severus o Mikrogeophagus ramirezi, questi ultimi comunenemente conosciuti come “Ram” in acquariofilia.

L’habitat del Ram varia molto per via della loro estesa distribuzione. In alcune aree inondate possono essere visti migrare a milioni.
In questo articolo scriverò a proposito di un punto veramente speciale lungo il fiume Morichal, che ho esplorato ripetutamente anno dopo anno. Ciò che rende questo punto così speciale è che ospita un gruppo di Ram, compreso fra i sei e i dieci esemplari adulti, in un’area specifica di meno di cinque metri quadrati.
Questo non significa che non ci siano Ram per un kilometro a monte o a valle lungo il fiume, ma non ho mai visto un Ram adulto nei duecento metri a valle o a monte di questo luogo.
È incredibile andarci una o due volte l’anno, nella stagione secca o delle piogge, e ritrovare lo stesso gruppo di esemplari, nello stesso punto!
In natura, probabilmente, i Ram vivono al massimo un anno o poco più, quindi questo deve essere un punto realmente speciale per la permanenza di Ram adulti.

Voglio iniziare la mia storia dagli ultimi due giorni di una spedizione che ne è durata diciassette, attraverso il territorio venezuelano.

Mi sveglio alle sei della mattina nella piccola città di El Temblador, che significa letteralmente “anguilla elettrica”, e guido per due ore verso nord, in direzione del territorio dei Ram vicino al delta dell’Orinoco, e le cose non potrebbero andare meglio! Il sole splende e non si vedono nuvole in cielo. È una cosa molto positiva per la fotografia subacquea.
In quest’area normalmente piove ogni giorno, durante la stagione delle piogge e, quando non piove, il cielo è coperto per tutto il tempo da nubi grigie, che abbassano drammaticamente la possibilità di scattare belle immagini.
Devio dall’autostrada per inoltrarmi in una piccola e sconnessa strada di campagna, che si trasforma in una sporca strada sterrata, la quale mi porta a una strada sterrata ancora peggio (se si può chiamare “strada” quando ti costringe ad azionare il 4×4).

Panoramica del biotopo di un corso d'acqua chiara
Panoramica del biotopo di un corso d’acqua chiara, Monagas, Venezuela.

Arrivo più vicino possibile al fiume, parcheggio il fuoristrada e, come di consueto, spruzzo del repellente sui miei vestiti, e mi gusto una buona colazione, che consiste in una scatoletta di tonno con dei cracker, seduto sulla sbarra che fa da cancello.
Ad accompagnare questo eccellente pasto da gourmet, che mi sono sorbito continuativamente per gli ultimi quattordici giorni, ho un bicchiere di soda calda sgasata. Al momento sto pensando intensamente ad una bella bistecca grigliata con purè.
Una volta finito di mangiare, preparo tutta la strumentazione e mi metto la muta, mi spruzzo nuovamente il repellente e inizio la camminata di duecento metri che mi condurrà al territorio dei Ram.

La fatica di una camminata di duecento metri può sembrare poca cosa, se non fosse che l’attrezzatura ha un peso di dieci kili, dati da custodia impermeabile in plastica con annessa fotocamera e videocamera, tutti i rispettivi accessori subacquei e termometro, pHmetro, etc.
L’altra cosa da dover trasportare è la borsa con l’attrezzatura da snorkelling, contenente maschera, pinne, e tutte le altre cose sciolte, quali liquidi o snack. Normalmente ci metto anche la cintura di piombo da sei kilogrammi, ma questa volta ho deciso che era meglio indossarla piuttosto che doverla trasportare.

Il viaggio di duecento metri attraverso la boscaglia alta fino alla cintola, con tutta questa pesante attrezzatura, viene rallentato a metà del percorso da un cancello di filo spinato. Questo cancello ha cinque filamenti di filo spinato ad intervalli di trenta cm l’uno dall’altro.
Essendo da solo, faccio scivolare la pesante borsa piena di “delicata” strumentazione al di sotto del filo e lancio la borsa con l’attrezzatura da snorkeling dall’altro lato. Decidere come oltrepassare il cancello filo spinato è tutta un’altra cosa. I fili sono troppo ravvicinati per passarvici in mezzo. Posso passarvici sopra o strisciare ventre a terra al di sotto.

Decido di passarci sopra, pensando che bilanciarmi al di sopra di un filo spinato alto un metro e mezzo sia molto più facile che trascinarmi nella sterpaglia piena di insetti e spine. Appena inizio a bilanciarmi sul fine filo spinato scoppio a ridere, pensando a cosa potrebbe pensare un locale vedendo una persona nella giungla, nel bel mezzo del nulla, che indossa una muta da sub cercando di scavalcare goffamente un cancello!
Una volta che anche la saga del filo spinato è finita, devo ancora fare altri centro metri. Avendo addosso una muta, sotto il sole tropicale con 33 gradi, grondo sudore e ora spero solo in una nuvola passeggera o in un po’ di pioggia! Mi cospargo nuovamente di repellente: la mia muta è a maniche e braghe corte e la boscaglia ed il sudore lo portano via.

Arrivato, alla fine, nel territorio dei Ram, butto l’attrezzatura sulla riva del fiume e mi fiondo nella zona più profonda del fiume per rinfrescarmi. Seduto lì, il pensiero che tra un paio d’ore dovrò attraversare la stessa odissea per tornare indietro mi irrita, ma l’acqua fresca raffredda i miei bollenti spiriti.

Dopo cinque minuti esco dall’acqua e inizio a cercare i Ram dalla riva del fiume. Lo spot dei Ram non ha alberi lungo le rive, quindi non c’è ombra; i Ram vengono trovati di solito in punti con meno di mezzo metro d’acqua.

Cercarli dalla riva ha molti vantaggi.
Primo, è più facile individuarli perché, cercandoli in immersione, le piante acquatiche renderebbero molto più complicato vederli.
Secondo, da fuori i pesci sono meno impauriti e non scappano, come invece farebbero se camminassi in acqua.
Terzo, camminando sulla riva, lascio il loro habitat intatto, senza danneggiare le piante o intorbidire l’acqua.
Quarto, una volta individuati, posso scattare una foto dall’esterno del loro habitat ancora imperturbato e, fatto più importante di tutti, posso osservare il loro comportamento. Ho scoperto che prendendosi il tempo necessario per osservare i pesci dall’esterno, prima di entrare in acqua, si finirà sempre per ottenere foto e video migliori.

Per me è importante contare quanti individui sono presenti. Sono in riproduzione o già con gli avannotti? Se li spavento passando la mia mano sull’acqua o saltando, dove vanno a nascondersi? Di quanto tempo necessitano per uscire dai loro nascondigli? Quanto è forte la corrente? Dove è meglio che mi posizioni in acqua per scattare le foto?
A questo punto sono solito anche misurare il pH e la temperatura dell’acqua. I parametri sono: il pH è 6.2 e la temperatura, nel punto poco profondo (circa 30 cm) in cui vivono i Ram, è di 28 °C.

Individuo sei Ram adulti, i loro colori brillanti possono essere notati a due metri di distanza in quell’acqua così bassa. Noto che ci sono molte piante acquatiche che rallentano la corrente, e che è presente una piccola area senza vegetali nella quale escono di tanto in tanto a cibarsi.
Decido che quell’area aperta di appena mezzo metro quadro è l’unico punto in cui sarei in grado di fotografarli. A questo punto la mia testa è così calda che penso potrei cucinarci sopra una bistecca; ancora, la mia testa viaggia ad una bella bistecca con purè.
Faccio velocemente una foto della zona dall’esterno dell’acqua, pianto un bastoncino di un metro nella riva del fiume, infilandolo dieci cm nel terreno, in corrispondenza del punto in cui ho individuato i Ram; metto assieme la camera subacquea, prendo un sorso della mia soda bollente, metto la maschera ed entro in acqua una quindicina di metri a valle del punto prescelto per le foto, dove l’acqua è più profonda.

Inizio a trascinarmi lentamente su per il fiume, controcorrente, in direzione del bastoncino che ho piantato come riferimento ai margini del corso d’acqua. Dico trascinarmi anziché nuotare perché ho la mia cintura di pesi da 6 kili legata alla vita, in mezzo metro d’acqua. La cintura mi serve per evitare di essere continuamente trascinato a valle dalla corrente.

Come mi avvicino all’area profonda solo 30 cm, l’enorme ammasso di piante acquatiche mi impedisce di vede a più di cinque centimetri dal mio naso. L’unica maniera che ho per orientarmi è tirare la testa fuori dall’acqua e guardare al bastoncino.
Mentre la profondità diminuisce e la quantità di piante aumenta, la corrente si fa sempre meno intensa. Rallentando, la corrente lascia depositare tutta la materia organica che l’acqua porta con sé e che non ha più la forza o l’inerzia di trasportare via.
L’assenza di corrente fa sì che il fondo di sabbia silicea si ricopra di qualcosa descrivibile come delle sabbie mobili di materia organica. Tutte le volte che mi trascino più vicino alla riva, affondo sempre più in questo denso miscuglio di limo, legnetti, foglie in decomposizione, il tutto combinato con sabbia silicea. Questa poltiglia è spessa 10-15 cm e solo al di sotto si trova un solido fondo di sabbia silicea.

Presto riesco a raggiungere la radura di mezzo metro quadro e notare la completa assenza di Ram. Aspetto pazientemente che si mostrino nello spiazzo per cibarsi sul detrito. Neanche dieci minuti dopo sembrano essersi completamente abituati alla mia presenza ed escono a mangiare come se io non esistessi.

In quel momento realizzo di avere un paio di altri problemi. Essendo io, ora, in appena 30 cm d’acqua, la mia schiena non è più sommersa. Le zanzare stanno iniziando a banchettare attraverso la muta. Cerco di scuotermi per spaventarle e farle scappare, facendo sì, però, che in un attimo il detrito si sollevi, riempiendo tutta la colonna d’acqua di particelle in sospensione, e rendendo impossibile fotografare. Decido di concentrami e disconnettere mentalmente in miei nervi della schiena, con poco successo.

Mikrogeophagus ramirezi by Ivan Mikolji 2015
Mikrogeophagus ramirezi, di Ivan Mikolji / 2011.

Il mio altro problema è che sono posizionato contro la debole corrente, e tutto ciò che posso vedere è la parte posteriore dei Ram. Poiché nuotano sempre contro corrente, ho solo pochissime occasioni nelle quali si girano ed si trovano in una buona angolazione per scattare una foto.
Il risultato è che devo passare molto tempo in attesa che si mettano correttamente in “posa” e sperare di essere abbastanza concentrato da premere il pulsante al momento giusto.

Col passare del tempo, osservando sott’acqua i Ram, tutto d’un tratto, cala la pace e mi scordo del mondo. Posso solo descrivere quel sentimento come estrema rilassatezza. Tutti i pensieri scivolano via e mi sento come se io debba essere lì, vivere con i Ram, come se fossi uno di loro.

I Ram nel loro ambiente naturale passano il 90% del loro tempo nutrendosi, ed il resto vibrando le pinne contro altri Ram o scacciando altri pesci che si introducono nelle aree in cui si cibano.
Per mangiare, aspirano del detrito con la bocca e iniziano a “masticarlo”. Poco dopo sputano fuori la gran parte del materiale non commestibile e ingoiano ciò che trovano edibile, filtrando ed espellendo gli avanzi più piccoli attraverso gli opercoli.
Durante questo processo sollevano piccole nuvole di sabbia. Se quattro Ram stanno mangiando simultaneamente diventano impossibili da fotografare, in quanto rendono l’acqua molto torbida.

M. ramirezi selvatico che si nutre nel suo ambiente naturale.
M. ramirezi selvatico che si nutre nel suo ambiente naturale.

Dopo più di due ore e 346 foto, decido che ho abbastanza buone immagini, così chiudo la fotocamera e la appoggio tra le piante acquatiche.
Guardo i Ram e mi dimentico del “lavoro”, li osservo e basta, come sono, nel loro ambiente naturale.

Dopo un bel po’, esco dall’acqua, prendo la videocamera e, dopo aver ripetuto lo stesso approccio, giro alcuni video. Al momento, i Ram non sono più spaventati da me, il che rende più veloce filmare.
Prima che si faccia troppo tardi esco dall’acqua e inizio il mio viaggio di ritorno verso il fuoristrada. Questa volta, con la muta bagnata e completamente rilassato, il viaggio di ritorno di duecento metri, pur con il cancello da scavalcare, sembra paradisiaco.

Coppia di M. ramirezi nel loro habitat naturale.
Coppia di M. ramirezi nel loro habitat naturale.

Sul tardi, ho di nuovo un bel pranzo alla sbarra-cancello.
Questa volta consiste in cracker e tonno in scatola, una gradevole variazione rispetto a tonno in scatola e cracker. La soda che ho messo in acqua adesso è a 28 °C, decisamente più fredda della temperatura dell’aria!

Guido per un paio d’ore e arrivo alla città di Maturin, nella quale incontro un mio vecchio amico canadese, che si sta occupando della pulizia di alcune piattaforme petrolifere. Mi offre di ospitarmi in una casa che ha affittato per lui e i suoi lavoratori.
Ci mangiamo una bella bistecca per cena con una montagna di patate, e ritorniamo verso casa per le otto.

Una volta nella casa, mi mostra un letto spartano al secondo piano. Sistemando dei vestiti puliti sento del baccano al piano di sotto. Scendo e sento che alcuni lavoratori stanno chiedendo al mio amico di essere sistemati in un hotel.
Quando chiedo il perché, mi rispondono che la casa è infestata e da molte notti non sono in grado di chiudere occhio. Mi dicono che ogni notte vedono il fantasma o lo spettro di una giovane ragazza del villaggio, che cammina attorno ai loro letti o in cucina, mentre preparano il cibo.

Dopo alcuni minuti di discussione, il mio amico decide di portarne alcuni ad un vicino hotel. I più coraggiosi restano nella casa, dicendo che hanno visto la ragazza fantasma, ma non gli interessa.
Decido di restare nella casa con la telecamera in mano, giusto in caso l’avessi vista, ma dopo aver tentato per un po’ di dormire con un occhio aperto, mi addormento definitivamente fino all’indomani.
Di mattina presto mi sveglio e guido per dodici ore verso casa, senza neppure una foto del fantasma ma con un sacco di belle immagini dei Ram.


Questo articolo è stato pubblicato su:
– Tropical Fish Hobbyist Magazine – Giugno 2011

Articolo ed immagini: © Ivan Mikolji www.mikolji.com
Tutti i diritti sono riservati. L’articolo non può essere riprodotto, copiato, distribuito o usato senza l’esplicita autorizzazione scritta di Ivan Mikolji.

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Apistogramma hongsloi è un ciclide nano diffuso in molti corsi d’acqua del bacino fluviale dell’Orinoco.

Quello che segue è un articolo di Ivan Mikolji che ci mostra l’ambiente naturale in cui questo pesce vive, ambiente da conoscere, tutelare e proteggere.
Come scrive egli stesso, infatti, “il reale futuro dell’acquariofilia è pensare al di là dell’acquario e porre il mio piccolo granello di sabbia per la salvezza degli ecosistemi”.

Anche noi vogliamo mettere un granellino di sabbia, per quanto piccolo, rendendo disponibile questo articolo al pubblico italiano.

Ringraziamo quindi vivamente Ivan Mikolji per averci accordato il permesso di tradurre e pubblicare il suo articolo.
Potete leggere tutti gli altri articoli di Ivan Mikolji, in inglese, nel suo sito: www.mikolji.com


Il ciclide nano Apistogramma hongsloi nel suo ambiente naturale

Apistogramma hongsloi
Apistogramma hongsloi, nel suo habitat naturale in Venezuela; di Ivan Mikolji / 2015.

Sono stato sott’acqua nello stesso punto per più di un’ora, oltre cinquecento fotografie scattate nei tre metri quadrati di fronte a me.
Sono in Mikoljiland, o ciò che Mihaly Csikszentmihalyi  chiama “Il Flusso” [“The Flow”, nell’originale – NdT].

Habitat Venezuela
Ivan Mikolji che scatta foto sott’acqua in un corso d’acqua chiara, Venezuela. Immagine di Kenia Sandoval.

Inizio a sentire un leggero rumore che rompe il silenzio subacqueo, mi guardo attorno e mi accorgo che sta piovendo. Mi giro e mi stendo con la schiena appoggiata sul letto del fiume, guardando in alto. Ritraggo in una foto la “pioggia sott’acqua”, o, per meglio dire, il motivo che la pioggia crea quando colpisce l’acqua. Gli alberi al di sopra creano un effetto stupendo. Catturo questo breve attimo che non si ripresenterà mai più.
Ritorno in posizione, inginocchiato, e continuo a fotografare, di nuovo immerso nel “Flusso”.

Pioggia subacquea
Foto subacquea del pattern formato dalle gocce di pioggia che colpiscono la superficie dell’acqua su un ramo del Rio delle Amazzoni, Venezuela.

Con il passare del tempo noto che il rumore è svanito; ha smesso di piovere. Tutto d’un tratto alcune grosse ombre mi appaiono innanzi, bloccando la fievole luce che filtrava dal cielo nuvoloso. Vengo risvegliato dal mio momento di trance e tiro fuori la testa dall’acqua. Vedo dei piccoli piedi di fronte a me, sulla riva del fiume. Sono bambini del villaggio che sono venuti a vedere cosa stessi facendo. Cerco di reimmergermi all’interno del “Flusso” ma mi stanno bloccando la luce. Mi tiro via la maschera ed esco dall’acqua.

Corso d'acqua Venezuela
Foresta pluviale con corsi d’acqua chiara, Venezuela.

I tre bambini mi seguono, proprio dietro di me. Mi siedo su un ceppo e loro se ne stanno lì, di fronte a me, fissandomi. Chiedo loro di dirmi come si chiamino. Ognuno di loro risponde sorridendo.
Dico: “Sto facendo foto subacquee ad alcuni pesci molto speciali. Sono estremamente piccoli ma molto speciali. Vorreste che vi mostrassi le mie foto?”. Annuiscono con la testa. Tiro fuori la mia fotocamera dal supporto subacqueo e mostro loro le immagini sul piccolo schermo LCD. Chiedo: “Non sono magnifici?”. Loro annuiscono. “Sapevate che questi piccoli pesci vivono nel ruscello?”. Scuotono le teste da una parte all’altra, anziché dire no. “Sapete… ciò che li rende così speciali è il fatto che si prendano cura dei loro piccoli. Hanno tanti, tanti pesciolini nati da poco e, esattamente come i vostri genitori, si prendono cura di loro, proteggendoli tutti, ciascuno di loro”. Loro sorridono e BOOM, proprio quel ruscello, il ruscello del villaggio, passa da essere un semplice “ruscello” ad essere “il loro speciale ruscello”, che ospita al suo interno pesci speciali, che noi conosciamo sotto il nome di Apistogramma hongsloi.

Foresta pluviale
Foto “metà-metà” della foresta pluviale e di un corso d’acqua chiara, Venezuela.

Apistogramma hongsloi può essere ritrovato in molti corsi d’acqua del bacino fluviale dell’Orinoco, soprattutto in quelli dei fiumi Sinapo e Caura. Ho nuotato con loro in varie località diverse e passato ore sott’acqua, osservandoli, filmandoli e fotografandoli, durante la stagione secca e durante la stagione delle piogge.

Corso d'acqua, Venezuela.
Ivan Mikolji nell’habitat di un corso d’acqua, Venezuela. Immagine di Ofeni Ratjie Kasupi.
Giardino subacqueo
Riflessione subacquea di un corso d’acqua chiara nella foresta pluviale, con protagonista un giardino subacqueo pieno di piante rare, Venezuela.

A. hongsloi vive in piccoli corsi d’acqua sorgiva a corrente lenta, che mantengono l’acqua durante tutto l’anno, anche durante la siccità tipica della stagione secca.
L’acqua arriva da falde sotterranee, sicché non sono sottoposti alle variazioni che invece investono tutti quei ruscelli che dipendono dalle precipitazioni.
Un habitat che offra acqua tutto l’anno è di essenziale importanza per questo piccolo pesce non migratore.

Apistogramma hongsloi
Apistogramma hongsloi nel suo habitat naturale, Venezuela.

A. hongsloi, come molti altri Apistogramma, non può essere ritrovato nei corsi d’acqua stagionali, che si prosciugano durante la stagione secca. I fiumi stagionali si riempiono di grossi pesci pelagici [intesi come non dipendenti dal fondo, ma che vivono sospesi in colonna d’acqua – NdT], come i Peacock Bass [si intendono i pesci del genere Cichla, quali C. tenensisC. ocellarisC. orinocensis etc – NdT] e i grandi pesci tetra, che sono spinti nell’Orinoco e in altri grandi fiumi quando le acque nelle quali vivono si prosciugano.
Nei microhabitat nei quali vive A. hongsloi è comune ritrovare piccole formazioni simili a vulcani lungo il letto del fiume. Dopo un’attenta ispezione, si può notare che la sabbia sembra quasi bollire. Si tratta di acqua di falda che raggiunge la superficie. Se si mette una mano vicino alla sorgiva, si sentirà che l’acqua esce molto più calda rispetto all’acqua del ruscello.

Apistogramma hongsloi
Apistogramma hongsloi nel suo habitat naturale, Venezuela.

Apistogramma hongsloi preferisce aree che ricevano luce, da non molta – ma comunque presente – a punti molto illuminati, probabilmente perché la sua fonte di cibo, a sua volta, dipende dalla luce per sopravvivere.
Sono costantemente intenti a cibarsi sul fondo del fiume, rovistando tra il perifiton [la microflora che si sviluppa sulle superfici sommerse – NdT] e il detrito sedimentato che trovano tutt’attorno a loro.
In alcuni punti dei loro microhabitat lo strato di detrito è così spesso che devono infilare le loro teste fin oltre l’opercolo per raggiungere ciò di cui si cibano. In questi casi si nutrono di qualcosa che vive o cresce circa un paio di centimetri sottoterra.
Comparati ad altri pesci geofagi, che si cibano di qualsiasi cosa cada nell’acqua, se mentre facciamo uno spuntino facciamo cadere un pezzo di pane o patata nel loro habitat, non se ne ciberanno.
Sono estremamente selettivi per quel che riguarda il loro cibo.

Apistogramma hongsloi
Apistogramma hongsloi che si nutre nel suo habitat naturale.

Così è come fisserei i parametri del loro ambiente naturale:

  • bioma: foresta pluviale tropicale
  • ecosistema: piccoli corsi d’acqua risorgiva a corrente lenta
  • habitat: sponde del fiume e anse o stagni poco profondi
  • zona dell’habitat: litorale, bentopelagico [che vive a stretto contatto con il fondo – NdT]
  • microhabitat: letti di foglie in punti poco profondi, aree poco profonde con abbondante presenza di piante
  • materiale organico sul fondo: letto di foglie, rami e ramoscelli, foglie e spighette di burití [palma Moriche (Mauritia flexuosa)NdT]
  • fondo: un miscuglio di sabbia silicea biancastra, a grana medio-grossa, con un diametro compreso fra 0.25 e 3 millimetri
  • parametri dell’acqua:
    • pH < 5
    • KH < 20 mg/l
    • GH < 10 mg/l
    • temperatura tra 26 e 28 °C
Apistogramma hongsloi, specimen.
Esemplari modello di Apistogramma hongsloi, con il pattern di colori tipico dell’estivazione.

Nella stagione secca, A. hongsloi, così come molti altri suoi congeneri, entra in un periodo in cui mostra una colorazione molto più spenta. Si colorano di uno scuro marrone giallastro. I loro colori sembrano tanto più scuri quanto maggiore è il loro grado di estivazione, che sembra dipendere, a sua volta, dal grado di “prosciugamento” a cui va incontro il loro habitat..
L’estivazione è simile a un’ibernazione “tropicale”, dove freddo e neve sono sostituiti da caldo e siccità.
Nella stagione secca non si muovono molto e non sembrano interessati a nulla che non sia cercare di risparmiare energia.
Difficilmente li si può vedere fare qualcosa che non sia nasconsersi al di sotto o nel mezzo del letto di foglie e piante acquatiche marcescenti. Non si avventurano all’aperto.

Apistogramma hongsloi nel suo habitat naturale.
Apistogramma hongsloi nel suo habitat naturale.

Nella stagione delle piogge, A. hongsloi torna alla vita. I colori si fanno via via più brillanti con l’avvicinarsi della stagione riproduttiva. Non fanno altro che alimentarsi. I giovani maschi sfidano i più vecchi nei verdi prati aperti di Eleocharis, mentre le femmine pascolano tutt’attorno. Sventolano e agitano le loro code tra loro, ondeggiando da una parte all’altra.
Uno spettacolo magnifico da vedere dal vivo! La natura al suo meglio!
La colorazione rossa del peduncolo caudale, spenta per tutta la stagione secca, ora risplende, gridando: “Sono qui, ragazze!”.
Anche le femmine mostrano una colorazione più sgargiante, vestendosi di bianco o giallo chiaro.
Il lento corso d’acqua, una volta deprimente, torna ad essere un vivace ruscello di vita.

Apistogramma hongsloi nel suo habitat naturale.
Apistogramma hongsloi nel suo habitat naturale.

Ogni maschio sembra avere almeno tre femmine, ma solo una di queste è la favorita. Una volta che la stagione riproduttiva inizia, un maschio può riprodursi con una o più femmine. Esso “visita” ognuna delle sue partner, che stanno circa mezzo metro di distanza una dall’altra. Sembra fare il giro per controllare se i suoi figli siano accuditi correttamente, per poi lasciarli per osservare le altre famiglie.
Una cosa è sicura: ogni A. hongsloi maschio ha una femmina, o famiglia, con cui passa più tempo.
La femmina si prende cura degli avannotti, nuotando continuamente attorno a loro con fare protettivo. I piccoli sono estremamente ben mimetizzati e possono essere a stento notati mentre nuotano lentamente lungo il fondo del fiume. Per identificare una femmina con la prole ho dovuto cercare il suo distintivo comportamento parentale e, solo successivamente, osservando attentamente al di sotto di lei, sono riuscito a notare gli avannotti. Se la femmina nuotasse ad appena una trentina di centimetri di distanza, non sarei in grado di trovare i piccoli.
Alla fine della lunga stagione delle piogge gli avannotti sono lunghi due-tre centimetri e continuano a crescere fino a quando il ciclo stagionale non ricomincia.
In natura, A. hongsloi può vivere vari anni. Ho osservato alcuni esemplari molto grandi, dall’aspetto provato, prepotente e minaccioso. I più giovani si tengono alla larga!

Fotografia subacqua
Fotografia subacqua con riflesso di un corso d’acqua chiara, Venezuela.

Apistogramma hongsloi divide il suo habitat con varie specie di pesci, molte delle quali di piccolissime dimensioni. Sembra quasi che A. hongsloi colonizzi sezioni di fiume dove pesci più grandi o predatori non sono presenti. Si tratta di una caratteristica abbastanza unica, dipica degli A. hongsloi, poiché io stesso ho osservato che la maggior parte degli altri Apistogramma vive vicino o all’interno di aree del fiume in cui sono presenti varie specie di pesci più grandi. Si tratta di una coincidenza? Probabilmente no, in quanto è un tratto del comportamento che si riscontra in più località geografiche differenti.
Le specie simpatriche [che occupano lo stesso territorio o habitat – NdT] più frequenti sono: piccoli Aequidens metae, Nannostomus anduzei, Copella sp. e gamberetti d’acqua dolce.

Aequidens metae
Fotografia di Aequidens metae, nel suo habitat naturale.
Nannostomus anduzei
Fotografia di un pesce matita, Nannostomus anduzei, nel suo habitat naturale.
Copella meinkeni
Esemplare modello di Copella meinkeni.
Gamberetto d'acqua dolce
Foto di un gamberetto d’acqua dolce.

Un gran numero di habitat occupati dai pesci tropicali è andato perduto per colpa di indigeni o forestieri, i quali radono al suolo la vegetazione ripariale per fare spazio a campi coltivati, forni per il carbone o per materiali da costruzione. Più i corsi d’acqua sono piccoli, come quelli abitati da A. hongsloi, maggiore è il rischio di perderli.
È importante prendersi il tempo necessario ad insegnare alle popolazioni locali i benefici che ricaverebbero da una fonte d’acqua permanente, sostenibile e pulita e come la fauna e la flora dipendano l’una dall’altra.
La perdita di un habitat, con tutte le piante e gli animali che lì risiedevano, è una perdita diretta per l’acquariofilia.

Spendiamo la maggior parte dei nostri sforzi per raggiungere posti remoti, mai raggiunti da nessun altro essere umano, per catturare la più nuova, strana, mai vista prima, specie di pesce.
Poco è lo sforzo teso ad arginare le vere minacce ecologiche, che sussistono in queste aree non così remote, popolate e ben conosciute.
Deve esserci equilibrio: alla cattura dei pesci deve alternarsi l’educazione, un prendere e dare per preservare la nostra passione.
Sarebbe così triste per voi leggere questo articolo e sapere che la prossima volta che visiterò questi corsi d’acqua, potrei ritrovarli prosciugati e privi di vita.
Per me, il reale futuro dell’acquariofilia è pensare al di là dell’acquario e porre il mio piccolo granello di sabbia per la salvezza degli ecosistemi.

Gli chiedo: “Non è un pesce super-bello?” annuendo con la testa e sorridendo, e loro in risposta mi sorridono e annuiscono.
Adesso adorano l’Apistogramma hongsloi.

 


Per maggiori informazioni:
Show e Documentari: Wild Aquarium 1

Questo articolo è stato pubblicato su:
– Practical Fishkeeping Magazine – Marzo 2015

Articolo ed immagini: © Ivan Mikolji www.mikolji.com
Tutti i diritti sono riservati. L’articolo non può essere riprodotto, copiato, distribuito o usato senza l’esplicita autorizzazione scritta di Ivan Mikolji.

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